L’imprevedibile duo Jonas&Lander torna a Spoleto per celebrare dieci anni di carriera con una residenza artistica e tre performance. Lento e Largo crea un’apocalisse visiva per indagare le specificità di ogni organismo; Cascas d’OvO esplora la comunicazione telepatica come massima espressione del legame relazionale di coppia; Bate Fado reinterpreta l’atto del “battere” tipico del fado, in cui la danza diventa uno strumento a percussione che dialoga con voce e chitarre: tre performance intrise di cultura pop, estremamente originali, in grado di liberare l’inconscio dello spettatore suscitando una vera e propria rivoluzione interiore.
Testo di Gaia Clotilde Chernetich
Lento e Largo, Cascas d’Ovo e Bate Fado sono le tre coreografie, tre prime nazionali, attraverso cui questa edizione del Festival dei Due Mondi di Spoleto celebra il primo decennale della traiettoria artistica disegnata dal duo di coreografi Jonas&Lander, artisti in residenza al Festival di quest’anno. Nell’arco di poco tempo e sin dal loro primo incontro avvenuto nel 2010 alla Escola Superior de Dança di Lisbona, dove entrambi si sono formati Jonas Lopes e Lander Patrick hanno dato vita a una creatività performativa vivace, che non smette di sorprendere e incantare il pubblico. Il loro lavoro, che sta via via formando un repertorio riconoscibile, ha assunto una chiara dimensione multidisciplinare e internazionale sviluppando la capacità di rivolgersi a pubblici e contesti diversi. Il loro approccio alla coreografia punta a far evolvere la danza verso una dimensione fluida, eclettica e coinvolgente che, negli spettacoli, è messa in risalto sia dal lavoro sul corpo sia dalla relazione tra i corpi, gli oggetti e la dimensione ritmico-musicale. In scena, nei loro spettacoli, troviamo un’acuta vitalità creativa, una propensione a stimolare la partecipazione attiva del pubblico e la capacità di uscire fuori dai formati canonici dell’arte coreografica attraverso l’utilizzo di dispositivi e formati innovativi. Senza schemi, preconcetti e aspettative predefinite, Jonas&Lander costruiscono mondi inattesi, espressione di una creatività gioiosa e giocosa, che si espande attraverso i canali aperti da tutti gli elementi chiamati a partecipare alla creazione. In particolare, in ognuno dei tre lavori presentati, la musica e il ritmo non sono semplicemente trainanti, ma sono veri e propri elementi ai quali è assegnata una funzione drammaturgica.
Nel corso di questi primi dieci anni la loro danza si è dimostrata capace di evolvere secondo un percorso non predefinito che ha svelato al pubblico inedite prospettive della coreografia contemporanea. In questa prima loro retrospettiva troviamo traccia, attraverso i titoli in programma, di tre diversi momenti del percorso artistico di questi eccezionali coreografi che corrispondono a diversi formati del loro lavoro, dal duo alla creazione d’ensemble, tra spazi scenici convenzionali e non. Dopo aver presentato l’installazione performativa Coin Operated presso la Chiesa di Sant’Agata nell’edizione dell’anno scorso, quest’anno il Festival propone dunque un ulteriore approfondimento sul lavoro scenico e sulla creatività multiforme di un duo di artisti che non manca mai di invitare i propri spettatori dentro un immaginario fantastico, sofisticato, irriverente e queer.
Lento e Largo (2019) è uno spettacolo nel quale performer umani, droni e robot condividono la scena. L’ispirazione visiva di questa creazione è radicata nella pittura di Hieronymous Bosch e in particolare è legata alla sua capacità di rappresentare scene di natura apocalittica attraverso la particolarità di dettagli inseriti in una grande drammaturgia visiva generale, stratificata e complessa. Nel passaggio da pittura a scultura in movimento, quale è la danza, la dimensione visuale rimane determinante e mantiene lo spirito di un grande e serio divertissement. Jonas&Lander compongono un vero e proprio orizzonte di irrealtà, corporeo e musicale, che vuole ampliare le prospettive sulle interazioni possibili tra corpi e macchine mettendo il pubblico nella posizione di divertirsi ma di sperimentare al contempo un certo, proficuo “disagio”, prevalentemente di natura intellettuale, derivante delle suggestioni che la performance sollecita. Umani e robot interagiscono alla pari, compiendo azioni che spingono il movimento oltre i confini della fisiologia umana e non umana e delle qualità e capacità specifiche di ogni performer. Il corpo, i suoni e la musica sono tutti generati, indistintamente, dalla sensibilità umana e da quella digitale, del robot. Tra i due “mondi” va approfondendosi una con-fusione che ci parla del contemporaneo, ma ancor più ci parla di futuro. In questo contesto paritario, sovversivo e rivoluzionario, l’organico si sovrappone e si confonde con l’inorganico fino al punto che la pelle è chiamata ad avvolgere e travestire, letteralmente, la macchina creata dall’uomo. Questo gioco di vestizione della macchina si ispira al mondo fantastico e al savoir faire del tassidermista Enrique Gomez de Molina, mentre la nudità del corpo, lungi dall’essere scontata, può assumere in Lento e Largo un pieno valore sociopolitico. Mentre la macchina si veste della biologia animale e umana, per imitarla e confondersi con essa, il corpo umano si spoglia, sempre di più, osservato e a volte spiato, di certo messo a nudo dalla tecnologia che ne traccia, valuta, svela e a volte predice ogni movimento. Lo spettacolo, osservato come fosse un dispositivo di azione, funziona come un’orchestra di elementi diversi, una sinfonia corporeo-musicale dove il corpo sfida la biologia mentre questa dialoga e prova a convivere con la macchina. Che sia vissuto come un gioco, un’apocalisse o una visione distopica del giardino dell’Eden, Lento e Largo sembra rivolgersi a un dilemma morale che riguarda il futuro dell’umanità, impegnato oggi a integrare il più armoniosamente possibile ingegneria genetica, intelligenza artificiale e biologia. La coreografia sembra aprire una domanda: chi sono i veri autori del futuro, gli esseri umani o le macchine? Chi o che cosa determinerà i limiti del possibile? Qual è il confine oltre il quale il controllo passa in mano al non-organico, al non-umano? La risposta, per adesso, la troviamo in scena.
Da un punto di vista produttivo, Cascas d’Ovo (2013) è lo spettacolo di esordio di Jonas&Lander, quello che ha inaugurato la loro collaborazione e li ha fatti conoscere rapidamente a livello internazionale (lo spettacolo è stato selezionato dal network europeo di festival, case di produzione e teatri Aerowaves Europe nel 2014). Dal punto di vista artistico, invece, questa prima produzione ha messo in luce la forte relazione che il duo di coreografi intrattiene con il ritmo considerato elemento strutturale e drammaturgico della coreografia. La ricerca esprime un interesse specifico al dialogo, inteso innanzitutto come performance personale e creativa che si esprime, qui, sotto forma di esercizio virtuosistico. In gioco, o meglio, nel gioco coreografico di Cascas d’Ovo è presente un’impressionante competenza corporea, che per ragioni diverse rispetto a Lento e Largo si posiziona al confine tra umano, non umano e sovrumano. Fronteggiandosi a occhi bendati in una posa che evoca il dipinto Gli amanti del surrealista René Magritte, i coreografi-interpreti invitano il pubblico a seguire due sequenze intrecciate tra loro, la sequenza dei movimenti e la sequenza sonora composta dalla reciproca percussione delle mani sui corpi. Non si tratta solo di un duo di body percussion, dove la percussione dell’uno sul corpo dell’altro agisce da metronomo, ma di un’immagine in cui può risuonare una prospettiva più ampia, che abbraccia la dimensione della relazione e, per esteso, la sfera sociale. La cecità dello sguardo fa sì che “la visione” sia in tutto e per tutto delegata al corpo e alle sue qualità.
Il terzo spettacolo in programma, Bate Fado, è il più recente e per certi aspetti quello che segna un punto di contatto chiaro tra la ricerca coreografica di Jonas&Lander e il loro paese d’origine, il Portogallo. Questa coreografia, infatti, si inserisce tra quelle ricerche artistiche che fanno ricorso al reenactment nei propri processi creativi, e ha l’obiettivo di rivitalizzare una tradizione dimenticata, una danza scomparsa nel corso del tempo, ovvero la danza del fado, conosciuto oggi unicamente come genere musicale tradizionale. Bate Fado è dunque una pièce di natura ibrida, tra spettacolo di danza e concerto, e in qualche modo autobiografica oltre che d’ensemble, la cui costruzione è passata anche attraverso ricerche d’archivio, in particolare presso gli Archivi del Museo Bordalo Pinheiro dove i coreografi hanno trovato traccia di illustrazioni che rappresentano scene di danza di fado. Si tratta di una tradizione coreutica urbana scomparsa intorno alla Prima Guerra Mondiale, di cui non ci sono video, testimonianze o descrizioni accurate che ne permettano, almeno in parte, la ricostruzione coreografica. Come spesso capita in questi casi, non una sola ma più tipologie di danza di fado sono esistite nel corso del tempo, e poi scomparse, dimenticate. Nello spettacolo, Jonas&Lander fanno riferimento in particolare al fado batido, ovvero una forma di fado caratterizzata dalla percussione dei piedi al suolo in dialogo con la musica, come avviene anche nel flamenco. Nell’affiancarsi alla musica del fado, la danza si fa portatrice di vitalità, corpo e presenza. I documenti d’archivio consultati dai coreografi fanno intuire un’atmosfera bohemienne attorno a questa danza, molto colorata e vitale, ed è possibile immaginare serate di fado del passato in cui, oltre all’ascolto della musica e del canto, ci fosse la possibilità di contribuire “sonoramente”, attraverso il corpo e la danza.
La poetica coreografica di Jonas&Lander, abitata da un profondo e compiuto senso di pluralità, sta tracciando linee drammaturgiche che sanno collegare una cifra surrealista con tematiche centrali della contemporaneità. Fino a qui, il loro repertorio parla di immaginari abitati, via via, da suggestioni di natura diversa, ma sempre strettamente intrecciate alla musicalità e al ritmo. L’immaginario coreografico di questo duo di coreografi è ampio, esuberante e coraggioso. Il loro ritratto dell’umano, pur passando attraverso l’irriverenza, esprime profondità espressiva e puntualità nel saper intercettare le questioni che, proprio attraverso la danza, possono trovare spazio e approfondimento. La danza è considerata uno spazio dove i generi, ma anche i ruoli, le nature e le identità, possono ibridarsi creando nuove risonanze. Molti e diversi sono gli spazi pronti ad accogliere la loro visione, tra scena e spazi diversi. Il pubblico si può avvicinare ai lavori di questi artisti confidando nel fatto che la danza contemporanea, anche quando entra nel merito di questioni complesse del proprio tempo, può non smettere di essere profondamente sofisticata e, allo stesso tempo, divertente.
Jonas Lopes è nato a Lisbona nel 1986, mentre Lander Patrick è nato a Rio de Janeiro nel 1989. Nel 2010 si incontrano alla Escola Superior de Dança di Lisbona durante la loro formazione accademica, iniziando le loro prime collaborazioni nella danza. Il lavoro dei creatori Jonas & Lander è riconoscibile nel panorama della danza portoghese come un’opera con una forte firma d’autore, dai contorni unici che esplora la fusione tra diverse arti sceniche, con particolare attenzione alla musica. Questa caratteristica viene indagata in Cascas d’OvO (2013), la loro prima creazione, dove il senso ritmico è fortemente utilizzato come filo conduttore dell’intero brano. Da allora Jonas & Lander si sono affermati con pezzi acclamati dalla critica e sostenuti da realtà portoghesi ed europee a sostegno dell’arte e della creatività. Nella loro carriera, hanno già all’attivo un ampio ventaglio di lavori come Matilda Carlota (2014), Arrastão (2015), Adorabilis (2017), Lento e Largo (2019), Coin Operated (2019) e Bate Fado (2021) e di progetti con realtà locali come il brano Playback per il Festival Materiais Diversos (2013) o Caruma (2014) per Estufa Plataforma Cultural. Due dei loro lavori vengono nominati da Aerowaves Priority Company, vincono il secondo premio al No Ballet International Choreography Competition (AL); Lento e Largo viene citato dai giornali Público ed Expresso come uno dei dieci migliori spettacoli del 2019, ottenendo anche la nomination per la Miglior Coreografia dalla Sociedade Portuguesa Autores; Bate Fado si distingue per una lunga tournée in Portogallo e in altri paesi nel 2021 e 2022, oltre ad essere eletto Miglior spettacolo del 2021 dal giornale Expresso. Partecipano alla serie di documentari di RTP2 Portugal que Dança (2017), con un episodio a loro dedicato, e sono al cinema con il film Body Buildings (2020).
Come solisti, Lander vede il suo primo assolo, Noodles never break when boiled ottenere il primo premio al Koreografskih Minijatura Festival (SRV) nel 2011, firma il duetto OHM (2016) per la compagnia Staatstheater Mainz (AL) e collabora con altri creatori come Tomaz Simatovic, Marlene Monteiro Freitas, Luis Guerra, tra gli altri.
Jonas inizia la sua formazione artistica nel 2002 nella scuola d’arte Chapitô. Da allora ha lavorato con diversi registi e coreografi come Tiago Guedes, Clara Andermatt, Jérôme Bel, Vera Mantero, Maria João e Mário Laginha, Filipe La Féria, António Pires, Adriano Luz, Madalena Victorino, tra gli altri. Nel 2006 inizia la sua carriera di cantante di fado a Londra e nel 2011 cura il suo primo album Fado Mutante premiato con il premio Carlos Paredes nel 2012. Nel 2021 pubblica il suo primo album come cantautore, São Jorge, curato da Valentim de Carvalho e prodotto da Jorge Fernando.
Jonas&Lander
Jonas&Lander
Marco Goecke
Alexandre Tharaud
Benjamin Millepied
Marie Chouinard
Sharon Eyal
Gai Behar
L–E–V