Sharon Eyal
Gai Behar
L–E–V
Into the Hairy
Into the Hairy è la nuova creazione ideata dalla coreografa Sharon Eyal e da Gai Behar in collaborazione con il musicista e produttore di musica elettronica Koreless e Christian Dior Couture per i costumi di Maria Grazia Chiuri.
Lo stile unico è quello che da sempre contraddistingue il dirompente duo Eyal & Behar: movimento, musica e spazio si intersecano, la danza esce dai suoi canoni convenzionali, il classico si fonde con la cultura dei club underground e la danza contemporanea viene spinta ben oltre i suoi confini.
«Non voglio vedere la coreografia » commenta Eyal «voglio vedere la magia. Voglio sentire e voglio che le persone sentano quello che voglio dare loro». Per spiegare come la sua danza sia costruita dall’interno, Eyal definisce così la sua alchimia: «per quanto mi riguarda, forma mentale, impegno fisico e tecnica di danza sono un tutt’uno. Quando si è esausti, quando i muscoli sono come in fiamme, l’emozione sale in superficie e diventa impossibile fingere o costruire un discorso. Si può essere solo nel presente».
Ex danzatrice della Batsheva Dance Company, Sharon Eyal è stata la musa del coreografo Ohad Naharin. Danzatrice di spicco nel formidabile linguaggio di movimento Gaga, alla Batsheva ha lavorato come direttore artistico associato e successivamente come coreografa residente. Assieme al compagno Gai Behar nel 2013 ha fondato a Tel Aviv L-E-V (in ebraico cuore), uno dei gruppi più curiosi e originali della nuova generazione israeliana.
Le musiche originali del progetto sono del londinese Koreless, tra i musicisti e producer più influenti della nuova generazione. In un mix di contemporanea, ambient, garage o trance, la musica di Koreless si muove tra il dubstep e l’elettronica soul con una identità fortemente riconoscibile che vede quest’anno la consacrazione anche al Sónar di Barcellona.
coreografia Sharon Eyal
co-creatore Gai Behar
musica originale Koreless
costumi Maria Grazia Chiuri - Christian Dior Couture
luci Alon Cohen
danzatori Darren Devaney, Guido Dutilh, Juan Gil, Alice Godfrey Johnny McMillan, Keren Lurie Pardes, Nitzan Ressler
direttore delle prove Davide Di Pretoro
direttore di produzione Maya Manor
direttore di compagnia Roy Bedarshi
promoter Menno Plukker
La prima versione di Into the Hairy è stata commissionata da LAS (Light Art Space), gennaio 2022 al Kraftwerk di Berlino.
coproduzione Montpellier Danse Festival, La Villette – Parigi Salzburger Festspiele – Austria, Sadler’s Wells – Londra, Julidans – Amsterdam, Spoleto Festival dei Due Mondi – Italia, MART Foundation, Dampfzentrale – Berna, deSingel – Anversa
con il sostegno del Ministero della Cultura francese Direzione regionale degli affari culturali dell’Île-de-France
e il sostegno della Orsolina 28 Art Foundation – Italia
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Sharon Eyal, colpire al cuore
Testo di Marinella Guatterini
“ Non voglio vedere la coreografia, voglio vedere la magia. Voglio sentire e voglio che le persone sentano quello che intendo dare loro. Per quanto mi riguarda forma mentale, impegno fisico e tecnica di danza, sono un tutt'uno. Quando si è esausti, quando i muscoli sono come in fiamme, l'emozione sale in superficie e diventa impossibile fingere o costruire un discorso. Si può essere solo nel presente”.
E brava Sharon Eyal, autrice con Gai Behar di Into the Hairy al debutto in questa 66esima edizione del Festival di Spoleto. Nella sua breve tassonomia coreutica si riconoscono tracce di un pensiero filosofico aleggiante in questi tempi non certo sereni. Partiamo dal titolo: “Dentro lo scabroso o l’irsuto” e se volessimo essere letterali, “Dentro il peloso”, che ci conduce per mano nel salvifico tunnel di chi vuol sottrarre la bellezza alle degenerazioni estetizzanti, levigate e asettiche di oggi, soprattutto prive di quella negatività coi relativi lati d’ombra necessari allo scopo. Mentre ancora ci tuffiamo nelle braccia di chi sostiene che l’opera d’arte è forza, è pura energia rapita ai confini angusti di un mondo ridotto a significato giacché solo l’esperienza estatica esiste. Ma non vorremmo scomodare né Byung-chul Han, il filosofo sudcoreano che insegna a Berlino (“La salvezza del bello”, ed. Nottetempo, 2019); né lo scomparso Jean-Luc Nancy (“Estasi” qui a braccetto di Federico Ferrari, ed. Luca Sossella, 2022), già professore emerito all’Università di Strasburgo, le cui riflessioni sull’arte e l’estetica sono ormai dei classici nella contemporaneità.
In fondo possiamo intrattenerci con semplicità in un aulico milieu coreutico. Ciò che Eyal ci racconta, quando svela che i suoi lavori non nascono da temi scelti a tavolino ma dalla vita, dalla sua esperienza personale nel momento della creazione e da ciò che la circonda, si accosta in tutto o in parte all’eredità di Pina Bausch, la leggendaria protagonista del Tanztheater ostinatamente decisa ad abbattere i confini tra vita e danza. Ed è ancora la coreografa tedesca che s’insinua nelle parole dell’Israeliana quando questa ci dice che “la danza è terapeutica; può persino guarire; poiché esprime tutto ciò che vuoi: è un'esposizione di tutto il corpo, dal cervello al cuore”. Ricordate il mantra della leggendaria Pina: Tanz, Tanz, sonst wir sind verloren! Danziamo, danziamo altrimenti siamo perduti? Ebbene c’è dell’altro. Sharon, dalla lunga esperienza nella Batsheva Dance Company, la maggiore compagnia del suo paese, accanto a Ohad Naharin, il suo più famoso direttore, di cui è stata anche l’assistente, nonché la direttrice artistica associata - avverte che il suo linguaggio e i suoi movimenti vengono trasmetti e spesso filmati dai suoi danzatori affinché li memorizzino. Al pari dell’ancora attivissimo William Forsythe, lei non ambisce vedere delle copie di se stessa, anzi. Preferisce assistere a qualcosa di così diverso da stupirla. “La fonte dei movimenti deve necessariamente provenire da me, ma mi piace vedere come vengano tradotti e trasformati dai miei danzatori. Cerco qualcosa con la quale, da coreografa, io possa trovare nuovi agganci , e che ami, m’ispiri”.
Mescolando e rimescolando nel mare magnum dei maestri della danza contemporanea, ma non solo, potremmo di certo scoprire altre digerite gerarchie valoriali, e metodologiche. Del resto la coppia Eyal/Behar non fa retromarcia rispetto ai presunti argini - presunti poiché non ve ne sono più - della contemporaneità e sembra averne assorbito i criteri migliori. Perciò avanza baldanzosa, con un pacchetto di coreografie della sola Eyal alle spalle, sin da quando, nel 2013, decise di fondare la compagnia L-E-V- (in ebraico cuore) inneggiando a un muscolo vitale del nostro corpo - il cuore, per tradizione millenaria ricettacolo di amore e sentimenti - e spesso inserendolo anche al posto giusto sui costumi: di solito aderenti quanto fantasiose tutine dal brand prezioso, Dior. Potrebbe essere solo una curiosità scoprire che per merito di Maria Grazia Chiuri, la sua costumista, L-E-V ha stretto una liaison con la Christian Dior Couture , di cui la Chiuri è stilista e direttrice creativa. Non solo.
Qualche volta la prima donna alla testa della Maison Dior si è riservata l’onore di portare in passerella la stessa Eyal che nel frattempo ha mutato l’appeal del suo bel viso. Rossetto che sborda dalle labbra, occhi imbrattati di cenere scomposta, quasi avesse preso una gragnola di pugni. Tutti dettagli fashion con i quali si è presentata alla “Spring- Summer 2019 Ready-to Wear Show Dior Cruise 2021 Collection” all’interno della Notte della Taranta di Lecce. Mescolando se stessa, i suoi danzatori ai dilettanti del luogo celebrarono pure quest’atavico rito pagano ridotto a larvali tracce mnestiche dal turismo, e si presume che sapessero che è nato tra il X e il IX secolo, e per fortuna è stato catturato sul campo nel 1959 dall’etnomusicologo Ernesto De Marino nel suo fondamentale “La terra del rimorso”(a cura di Marcello Massenzio, ed. Piccola Biblioteca Einaudi, 2022), prima ancora che i suoi autentici elementi pagani fossero del tutto mediati dall’irruzione dell’istituzione ecclesiastica. In occasione delle sue apparizioni nel Salento la Eyal ha chiarito molto bene la sua attrazione per il luogo, i partecipanti, la natura anche spoglia e grezza dei loro interventi, fonte di vita, di rigenerazione e per lei di liberazione del corpo e di bellezza. Ha poi contribuito alla confezione della sfilata di moda autunno-inverno 2021-2022 per Dior, ma senza rilasciare dichiarazioni. Poco importa.
La sua esposizione fashion, così continuata, ci rimanda a un fenomeno in auge negli anni Ottanta, quando Régine Chopinot, reginetta della « Nouvelle Danse » francese strinse un forte legame con Jean-Paul Gaultier e di lì a catena, i nuovi sarti, chiamati stilisti, si agguantarono vari coreografi. Anche in Italia esplosero come costumisti non solo di danza, ma anche d’opera. Il fenomeno si è congelato negli anni Novanta; oggi ha ripreso un poco quota con il nostro Antonio Marras, con Roberto Capucci, ma con modalità sporadiche, a singhiozzo, e per Capucci il più noto dei nostri couturier anche per quei magnifici abiti scultura apparsi e indossati al Festival di Spoleto 63 nelle Creature di Prometeo su musica, dal vivo, di Ludwig van Beethoven.
In Into the Hairy, la nuova creazione di Sharon Eyal e Gai Behar, non si interrompe la collaborazione con Maria Grazia Chiuri e di conseguenza con la Christian Dior Couture (i due, tra l’altro si sono trasferiti a vivere in Francia), ma per la prima volta si aprono le porte a Koreless, un musicista e produttore londinese di musica elettronica, cui è stata assegnata la creazione di un soundtrack originale per la pièce. Cinquante minuti senza interruzione, di cui Eyal e Behar hanno offerto solo un insieme di parole:
Deep Into the Hairy… Dirty and gentle. Broken. Alone. Alone. Alone. Alone. Deeper. Stronger. Weaker. Sadder. More alone. Hole. Diamond shining off alone. Mustn't be night. Skies and heart. My love chapter 245. I LovE you. My Harry……..
Profondamente dentro lo scabroso. Sporco e gentile. Rotto. Solo. Solo. Solo. Solo. Più profondo. Più forte. Più fragile. Più triste. Più solo. Buco. Diamante brilla da solo. Non può essere notte. Cieli e cuore. Mio amore capitolo 245. Ti amo. Mio Harry… Queste espressioni bastano per entrare nelle segrete stanze di Into the Hairy?
Nascondere e non svelare è l’essenza di un atto creativo che una volta posto sulla scena teatrale sa di essere autonomo dal suo autore. Perciò ci permettiamo quale passo indietro. In Chapter 3: The Brutal Journey of the Heart (ispirato al bestseller A Little Life di Hanya Yanagihara, conclusione di una trilogia iniziata con OCD Love, l'amore dannoso e devastante, e Love Chapter 2, l'amore scomparso) tanto per citare un lavoro 2022 non distante dalla nostra prima italiana (Into the Hairy ha appena debuttato a Montpellier Danse 2023), il gruppo dei sei interpreti - qui sono sette - si presentava in bodies interi disegnati a mano con un pennello intinto di grigio. Una preziosa, elegantissima, varietà di fiori, oggetti, forme originali era spruzzata di rosso, con estrema cautela, in specie sul cuore della ballerina che dapprima inarcando le braccia e poi profondendosi in un ampio cambré, dava l’avvio alla pièce. Dentro quello spazio vuoto, - che tale è anche in Into the Hairy -, dalle singole e variopinte luci a pioggia, era come se lei e i suoi compagni, quando facevano gruppo, vi fossero sempre stati.
Il senso del mondo era fuori del mondo, ed era proprio nell’essere fuori da tutto, senza un luogo, che si rendeva possibile l’avere un luogo: “lo spaziamento delle forme, lo scarto dei corpi” (Jean-Luc Nancy). Ossia la riconoscibilità di un quid del tutto umanistico, e persino spirituale, in cui i corpi sembravano per lo più incollati, anche se formavano cerchi, a gambe piegate e allargate. Seguendo il ritmo techno, le urla, l’afflato tribale e atavico di un mix riuscito e clubbing, - in Into the Hairy si passa invece al dubstep, sempre da discoteca, e all’elettronica soul dall’identità fortemente riconoscibile - i danzatori esplodevano in gesti ampi e microscopici, con allegria e furore, erotismo, rabbia e gioia cangianti sui visi sempre molto espressivi. Nel pigia pigia del gruppo c’è chi si toccava le orecchie, chi il petto, chi cercava angoli da formare con le braccia, chi ancheggiava seguendo d’improvviso una sonorità del flamenco, mentre una coppia staccandosi regalava un lift e un passo a due breve e intimo, di squisita confezione. Amore di coppia e profonda solitudine, invece, in quell’asciutto fisico maschile che alla fine restava solo, immerso nei suoi gesti arrabbiati, nei suoi slanci cattivi, quasi avesse compreso che l’eccessiva prossimità agli altri avrebbe minacciato di folgorarli tutti in una nuova scintilla di desiderio.
Inchinarsi era poco davanti alla bravura di un gruppo che non si concedeva la minima sbavatura; certo avevano imparato dal metodo “Gaga”, inventato da Naharin, quella loro flessuosità, ma l’input coreografico non aveva più nulla a che vedere con il gran maestro della Batsheva. Lo stile Eyal/Behar è altra cosa assieme alla sua Weltanschaaung così speciale da averci ferito al...cuore. Capiterà ancora?
Come organizzatore di feste, Gai Behar ha avuto un ruolo importante nella vita notturna di Tel Aviv. Ha ideato eventi artistici multidisciplinari dal 1999 al 2005. Si è unito a Sharon Eyal nella co-creazione di Bertolina nel 2005 e da allora è suo stretto collaboratore.
Darren Devaney
Nasce a Edmonton, Canada, dove frequenta la Victoria School of Performing and Visual Arts. Proseguendo gli studi al Conservatorio di Boston, consegue un Bachelor of Fine Arts in danza e interpreta opere di Jose Limon, Anthony Tudor e Anna Sokolow. Al termine della sua formazione, si trasferisce a San Francisco dove lavora come freelance con lo Zhukov Dance Theatre e il Kin di Robert Moses. Dopo quattro stagioni, ha recentemente lasciato il Ballet BC dove ha avuto l’opportunità di interpretare lavori di Medhi Walerski, Johan Inger, Jorma Elo, Gustavo Ramirez, Cayetano Soto, Emily Molnar e William Forsythe.
Guido Dutilh
Nato ad Amsterdam, Paesi Bassi, nel 1995, si è formato alla National Ballet Academy di Amsterdam tra il 2010 e il 2014. Successivamente ha lavorato con NDT2 (2014-2018) e con NDT 1 (2018-2019). Nel 2018 ha ricevuto il Dutch Swan Award per la sua performance in Wir Sagen Uns Dunkles di Marco Goecke. Guido fa parte della compagnia L-E-V dal 2020.
Juan Gil
Nato a Valencia in Spagna, si è formato al London Studio Centre. Ha danzato con il Sarasota Ballet dal 2011 al 2016. In quel periodo si è esibito in opere di Ashton, Balanchine, Nijinsky, Wheeldon, Christopher Bruce, Twyla Tharp, Paul Taylor e Dominic Walsh. Ha poi danzato con Rambert dal 2016 al 2022, dove si è esibito in opere di coreografi come Christopher Bruce, Wayne McGregor, Hofesh Shechter, Wim Vandeykeybus, Sharon Eyal & Gai Behar, Imre & Marne van Opstal, Marion Motin, Andonis Foniadakis, Didy Veldman, Itzik Galili e Ben Duke. È entrato a far parte di L-E-V nel 2022.
Alice Godfrey
Nata a Windhoek in Namibia, è cresciuta a Città del Capo, in Sudafrica. Ha iniziato a esibirsi con la Cape Dance Company all’età di 14 anni, sotto la direzione di Debbie Turner. Terminate le scuole superiori, è partita per Toronto per trascorrere due anni di formazione presso la Canadian National Ballet School. Subito dopo ha iniziato a lavorare con il The Netherlands Dance Theatre sotto la direzione di Paul Lightfoot. È sempre al Netherlands Dance Theatre che incontra per la prima volta Sharon Eyal e Gai Behar. Alice Godfrey ha danzato per tre anni per il NDT2 e per due anni con il NDT1. Si è unita a L-E-V nel 2019.
Johnny McMillan
Nato in Canada, è un ballerino e coreografo con sede a Berlino. Diplomato all’Interlochen Arts Academy, inizia a danzare con Hubbard Street 2 e successivamente con Hubbard Street Dance Chicago. In quel periodo co-fonda un collettivo interdisciplinare di arti performative, The Rainbow Body Project, che si concentra sull’esperienza trasformativa attraverso l’indagine su sé stessi. Lasciata Chicago, McMillan si unisce al Royal Swedish Ballet come membro della divisione contemporanea e si trasferisce allo Staatsballett Berlin. Lavora con Gleich Dances, Sasha Waltz & Guests e Jefta van Dinther. Come coreografo, crea lavori per Hubbard Street Dance Chicago, Hubbard Street 2, Visceral Dance Chicago, The Juilliard School, The Royal Swedish Ballet, Stockholm 59 North, Staatsballett Berlin e produce i propri lavori indipendenti. Altre collaborazioni includono il lavoro con Niki and the Dove per il concerto Tigern och Svanen, la regia del movimento per Calvin Klein Oasis e la consulenza per Daniil Simkin nello spettacolo Sungazing con la musica dell’entità sonora LABOUR. McMillan si è unito a L-E-V nell’aprile 2023.
Keren Lurie Pardes
Nata negli Stati Uniti nel 1991, ha frequentato la Arts High School di Gerusalemme. Si è diplomata al “Maslool” – Programma di danza professionale di Tel-Aviv, diretto da Naomi Perlov e Offir Dagan. Si è unita al Batsheva Ensemble come tirocinante (2010-11), dove ha partecipato a un progetto di Idan Sharabi. In seguito, come membro del Batsheva Ensemble (2011-13) ha preso parte ai lavori di Ohad Naharin, Sharon Eyal e Gai Behar in Lost Cause, tra gli altri. Come danzatrice indipendente, ha lavorato con Ella Rothschild, Talia Beck e Bosmat Nossan.
Nitzan Ressler
Nata a Gerusalemme nel 1992, durante i suoi anni giovanili ha danzato con Hora Jerusalem e ha studiato presso la Jerusalem Academy for Music and Dance High School. Ha ricevuto la borsa di studio America-Israel Cultural Foundation 2008-2010 e il premio Yair Shapira (2017). Ha danzato presso il Batsheva Ensemble nel 2010 e la Batsheva Dance Company nel 2012-2022. Si è unita a L-E-V nel 2022
Marco Goecke
Fernando Montaño
Marie Chouinard
Blanca Li