Orchestra e Coro dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
direttore Pascal Rophé
«Tranne Tiresia, il Pastore e il Messaggero, i personaggi restano nei loro costumi e nelle maschere costruite. Si muovono solo le teste e le braccia. Debbono avere l’aspetto di statue viventi».
Da anni Igor Stravinskij era alla ricerca di un soggetto tragico la cui trama fosse così nota al pubblico da permettere di prestare attenzione soprattutto alla musica. Tra il 1926 e il 1927 concepisce Oedipus rex, tra i lavori più rappresentativi del periodo neoclassico della sua produzione. Il libretto di Jean Cocteau, dal testo di Sofocle, è tradotto in latino da Jean Daniélou: dopo aver letto la biografia di San Francesco d’Assisi Stravinskij decide di ricorrere a una propria “lingua dell’anima” – com’era il provenzale per San Francesco –, un linguaggio speciale e sacro capace di creare un distacco dalla vita di tutti i giorni.
Prima di ogni scena la voce recitante anticipa le azioni nella lingua del pubblico, trasportato in una dimensione straniante e sospesa, dove gli occhi dei personaggi, immobili, non si incontrano mai e l’unica a muoversi è la musica. Senza tempo e senza luogo sono anche i Notturni di Claude Debussy, in apertura di concerto, che sceglie questa forma per «tutto ciò che la parola contiene di impressioni e luci particolari». Nel trittico la musica abbandona la linearità e la finalità di un discorso e acquisisce le sfumature di un’immagine: il lento avvicendarsi delle nuvole nel cielo, il corteo e il movimento della danza, il ritmo del mare e il canto delle sirene.
Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
DIRETTORE
Pascal Rophé
Claude Debussy
NOCTURNES
TRITTICO SINFONICO
PER CORO FEMMINILE E ORCHESTRA
I. NUAGES
II. FÈTES
III. SIRÈNES
Igor Stravinskij
OEDIPUS REX
OPERA ORATORIO IN DUE ATTI
(IN FORMA DI CONCERTO)
libretto di Jean Cocteau, da Sofocle
traduzione in latino di Jean Daniélou
Edipo Allan Clayton
Giocasta Anna Caterina Antonacci
Creonte, Il messaggero Andrea Mastroni
Tiresia Mikhail Petrenko
Il pastore John Irvin
Voce recitante Pauline Cheviller
Coro di Tebani
MAESTRO DEL CORO
Piero Monti
una coproduzione Accademia Nazionale di Santa Cecilia e Spoleto Festival dei Due Mondi
“C’est étonnant comme un jour triste ressemble à unautrejourtriste” scrive Debussy, il 31 maggio 1899 a Lilly Texier, che diventerà sua moglie proprio quell’anno. Ma dalla quale si separò cinque anni dopo, per unirsi a Emma Bardac. Lilly tentò il suicidio in Place de la Concorde. Si salvò, ma il proiettile le rimase incastrato tra le vertebre. Fu uno scandalo che sconvolse tutta Parigi. Gli amici, compreso Ravel, si schierarono dalla parte della moglie abbandonata. Tutta la vicenda fu vissuta da Debussy con profonda tristezza, come un’altra dimostrazione dell’incomunicabilità tra gli uomini. È forse il disegno invisibile di tutta la sua musica.
“Je ne suis pas heureuse ici”, dice Mélisande, strapazzata dal marito Golaud, che la trascina su e giù per la scena tirandola per i capelli. Ma il punto è, in realtà, che con Debussy la musica chiude i conti con il romanticismo, con l’idea che la musica esprima sentimenti, mentre essa è racchiusa in una rappresentazione distaccata della fantasmagoria dell’esistenza. “La musica comincia dove le parole non possono più parlare”, scrive Debussy. Un tramonto in Bretagna è più vero della Pastorale di Beethoven. Rivendica in questo modo alla musica una singolarità che la distingue dalla poesia, dalla pittura, da tutte le altre arti. Il che non significa che se ne stacchi. Semplicemente, la musica parla della realtà con altri strumenti, esclusivi, puramente musicali. Nei Préludes il titolo di ogni preludio è scritto non in testa al brano, ma in coda, tra parentesi e tra puntini sospensivi: (… La Cathédrale engloutie…). Se mai, tra le arti, esiste un’analogia. Come nella pittura, il disegno, i colori sono gli strumenti della rappresentazione, così nella musica lo sono i suoni. Il termine “impressionismo”, con cui subito viene etichettata la sua musica, gli dava fastidio. Lo riteneva impreciso, inadatto. Se mai, era il caso di parlare di “simbolismo”, come per la poesia di Mallarmé. Di fatti, la sua musica è forse la più pura espressione del puramente musicale che si conosca dopo Mozart. Una musica che è prima di tutto musica, solo musica. E proprio per questo ha quella enorme capacità di suggestione, di suggerire mondi, sentimenti: perché non li nomina, come la poesia, ma vi allude. I Nocturnes ne sono una manifestazione sublime. Niente a che vedere con i notturni di Chopin. Anche se Chopin, amatissimo, ha un influsso immenso su Debussy, a lui sono dedicati gli Etudes. Ma soprattutto è già con Chopin che l’armonia si fa timbro, colore, si sgancia dalla funzione di racconto, di collegamento strutturale. Nuages, Fétes, Syrènes: Nuvole, Feste, Sirene. Gli accordi che attaccano Nuages sembrano scivolare gli uni negli altri, come appunto le nuvole nel cielo. Ma l’analogia finisce qui. In realtà la musica ci propone momenti isolati di sospensione, uno dopo l’altro, inafferrabili, misteriosi. E così la festa è un trasalimento del suono in ritmi istantanei, brevissimi, un’eccitazione che sgorga da chi sa dove, che appare e che svanisce. Sono forse le sirene di Ulisse, le incantatrici che uccidono chi cede al loro canto? Un canto che non ha testo. Le voci femminili si limitano a intonare la vocale “a”. Un’intonazione quasi animale della seduzione. Ecco, la musica di Debussy si propone di trattenerci nell’ambito del suono, del solo suono, come manifestazione dell’esistere, e anche dello scomparire. In sé il tempo non sarebbe percepibile se non accadesse qualcosa che ha una durata, sia pure la durata del solo istante. Il suono di Debussy è questo manifestarsi del puro esistere. Include e racchiude il “mistero dell’istante”, scrive Jankélévitch. Abolite l’istante, abolite il suono, e c’è la morte, il nulla. A segnare il momento della morte di Mélisande, nel Pelléas et Mélisande, Debussy colloca una corona sulla stanghetta divisoria della battuta. Una pausa sarebbe stata ancora musica. La morte è il silenzio, la sparizione del suono, il nulla: dunque in quel punto la musica si sospende, Mélisande muore, e subito dopo la musica ricomincia. Nuvole, feste, sirene si sporgono sull’abisso di questo silenzio. L’immobilità degli accordi che aprono Nuages sarà ripresa ed evocata da Stravinskij con gli accordi che aprono la seconda parte del Sacre du Printemps. Ed eccoci al secondo, anche lui immenso, compositore del concerto. Debussy terminò la composizione dei Nocturnes nel 1899, se ne ebbe, però, la prima esecuzione completa nel 1901 (nel 1900 ci fu un’esecuzione solo dei primi due brani). L’Oedipus Rex di Stravinskij fu eseguito per la prima volta, in forma di concerto, al Théâtre Sarah Bernhardt di Parigi, il 30 maggio 1927. L’anno successivo fu rappresentato in forma teatrale alla Staatsoper di Vienna. Molte cose sono accadute, in Europa, e nel mondo, in quel quarto di secolo. Tra l’altro, una rivoluzione che cambiò la Russia e una catastrofica guerra mondiale che segnò la fine del primato europeo nel mondo. Stravinskij, russo, intimamente, profondamente russo, visse come un esiliato fino alla sua morte. Nel 1962 fu invitato a tenere concerti a Mosca e a Leningrado, e fu accolto trionfalmente. Ma ritornò negli Stati Uniti, di cui aveva nel frattempo acquistato la cittadinanza. D’accordo con Jean Cocteau, che scrisse il libretto, sulla traccia dell’Edipo Re di Sofocle, fu scelto di chiamare il lavoro Opera-Oratorio. Ma Stravinskij volle scriverlo in una lingua che non fosse una lingua ancora parlata, e il greco, per esempio, lo era e lo è ancora. Fu chiesto dunque a Jean Danielou di tradurre il libretto in latino. L’idea di Stravinskij è che il latino è una lingua rituale – allora era ancora la lingua della liturgia cattolica – in questo assai simile all’antico slavo della liturgia ortodossa russa. Volle inoltre che i personaggi non venissero intesi come figure psicologiche, bensì come maschere, tipi, di un teatro allusivo, simbolico. Un grande regista giapponese, Toshio Matsumoto, collaborando con il direttore Seiji Ozawa, nel 1992, realizzò al Saito Kinen Festival, uno spettacolo che sembra quanto di più affine all’idea teatrale di Stravinskij si possa immaginare (c’è un video pubblicato dalla Philips). I personaggi sono bloccati, come voleva Stravinskij, sempre in uno stesso punto del palcoscenico, e muovono solo le braccia e le mani. Sulla testa gli attori cantanti hanno maschere ispirate alla scultura cicladica. Tutto il resto è affidato al canto e all’orchestra. La figura del conferenziere che riassume per il pubblico la vicenda è sostituita da un’attrice che evoca come uno spirito del Teatro Nō, la tragedia dei destini umani, di cui Edipo è insieme il modello e la vittima sacrificale, dall’origine dei tempi. Si sono versati fiumi d’inchiostro sull’indietreggiamento che lo Stravinskij neoclassico avrebbe intrapreso allontanandosi dalle audacie degli anni del Sacre du Printemps (sarà ora di non chiamarlo più Sagra, perché non lo è, è un Rito, un Sacre, appunto, e bene traducono gli inglesi, con l’approvazione dello stesso Stravinskij, The Rite of Spring). Ora Stravinskij non ritorna affatto alla tonalità, ma ne fa un uso estraniante. L’opera comincia con un violentissimo si bemolle minore, e la terza minore è l’intervallo dominante di tutta la partitura. La tonalità è per Stravinskij un materiale autonomo, inespressivo, come lo erano stati i ritmi popolari, e come sarà la dodecafonia degli ultimi anni, il discorso musicale è invece guidato dal ritmo e dal ricorrere di determinati intervalli, prevalente, appunto, la terza minore. Sta qui la modernità, anzi l’attualità, della musica di Stravinskij, anche di quella del cosiddetto periodo neoclassico. Che l’interesse sta tutto nell’elaborazione, qualunque sia il materiale sonoro adottato. Nessuna nostalgia, nessun rimpianto per un passato irrecuperabile. Nemmeno nel bellissimo Concerto di Basilea, che se mai ribadisce proprio l’impossibilità, l’irrealizzabilità del ritorno, e condanna la nostalgia come un’illusione. La bellezza del canto è immobile come una statua greca, come una melodia di Bellini, che Bellini poteva permettersi, ma noi possiamo solo farne un calco, un falso, un’impossibile rievocazione. Ed eccole qua le statue greche, le maschere del nostro dolore. Inattuali, fisse, gelide, come dall’inizio dell’avventura dei sapientes sulla terra è il dolore della vita. Ma proprio per questo più disperato, più inconsolabile, che se si potesse sfogare con un grido, con una bella melodia. Il dolore della storia è una maschera immobile, perenne, che il Destino ci ha modellato addosso.
testo di
Dino Villatico
L’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia è stata la prima in Italia a dedicarsi esclusivamente al repertorio sinfonico, promuovendo prime esecuzioni di capolavori del Novecento. Dal 1908 a oggi ha collaborato con i maggiori musicisti del secolo: è stata diretta, tra gli altri, da Mahler, Debussy, Strauss, Stravinskij, Toscanini, Furtwängler, De Sabata, Karajan, Abbado e Kirill Petrenko. I suoi direttori stabili sono stati Molinari, Ferrara, Previtali, Markevitch, Schippers, Sinopoli, Gatti, Chunge e Sir Antonio Pappano (2005-2023), al quale nell’ottobre 2024 succederà, come nuovo Direttore Musicale, l’inglese Daniel Harding. Dal 1983 al 1990 Leonard Bernstein ne è stato il Presidente Onorario. L’Orchestra e il Coro sono stati ospiti dei maggiori festival: i Proms di Londra, i Festival di Lucerna, delle Notti Bianche di San Pietroburgo, di Salisburgo, e delle più prestigiose sale da concerto, tra cui Philharmonie di Berlino, Musikverein di Vienna, Concertgebouw di Amsterdam, Royal Albert Hall di Londra, Salle Pleyel di Parigi, Teatro alla Scala di Milano, Carnegie Hall di New York. L’intensa attività discografica degli ultimi anni è stata coronata da diversi riconoscimenti e premi internazionali. Tra le ultime incisioni dirette da Antonio Pappano ricordiamo l’Otello di Verdi con Jonas Kaufmann, Cinema con Alexandre Tharaud al pianoforte, Insieme-Opera Duets con Jonas Kaufmann e Ludovic Tézier, la Messa di Gloria di Rossini recentemente premiata agli International Classical Music Awards nella sezione “Choral Music” e la Turandot di Puccini con Sondra Radvanovsky e Jonas Kaufmann (marzo 2023, Warner Classics).
La musica è anche sinonimo di incontri e Pascal Rophé incarna a meraviglia questo aspetto. Incontri con compositori (Boulez, Eotvoes, Dussapin, Mantovani, Jarrell, Fedele, Francesconi, fra gli altri) incontri con solisti (Tamestit, Muraro, Tabea Zimmermann, Jean-Efflam Bavouzet….) o con orchestre che lo invitano regolarmente a lavorare con loro. Pascal Rophé è stato assistente di Pierre Boulez a L’ Ensemble Intercontemporain dopo gli studi al Conservatoire National Supérieur de Musique di Parigi e il secondo premio al Concorso Internazionale di direttori d’orchestra di Besançon nel 1988. Se è vero che la musica contemporanea ha rappresentato e rappresenta gran parte della sua attività, oggi i suoi impegni in Francia e all’estero prevedono sempre di più brani del grande repertorio sinfonico da Haydn in poi. In Francia, come all’estero, Pascal Rophé è ospite regolare delle orchestre più importanti, fra cui la BBC di Londra, la NKH di Tokyo, la Suisse Romande di Ginevra, la Philharmonia di Londra, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI di Torino e naturalmente l’Orchestra Filarmonica Reale di Liegi di cui è stato direttore musicale fino al 2009. Dal 2014 è direttore musicale dell’Orchestre National des Pays de la Loire. Si dedica intensamente anche al repertorio operistico, sia classico che contemporaneo, limitandosi però a due produzioni per stagione. Rophé ha ricevuto numerosi riconoscimenti per le sue incisioni discografiche con le Orchestre di Radio France, BBC Symphony, Suisse Romande, Orchestre Philharmonique Royal di Liegi, l’Orchestra Sinfonica Nazionale di Torino, etc. Una nuova incisione delle opere di Dutilleux è stata pubblicata dalla BIS nel 2016 per celebrare il centenario della nascita del compositore.
The origins of the multi-secular Accademia Nazionale di Santa Cecilia are closely linked to choral singing: in the second half of the 1500’s, several Chapel-masters and Choristers formed an association, thus founding the Accademia.The Chorus of the Accademia Nazionale di Santa Cecilia appears in both the winter and summer seasons of the Accademia, joining the Orchestra for performances of the great classic and modern symphonic-choral works.Highlights among its more recent engagements include tours the Santa Cecilia ensembles made together with Music Director Antonio Pappano to the Dresden Semperoper (2006), the London Proms (2007, 2011, 2013), the Salzburger Festpiele (2011, 2013, 2014) and the Enescu Festival (2017); its appearance in Lucerne with the famed Lucerne Festival Orchestra directed by Claudio Abbado (2006); and its participation (October, 2007) in the Sacred Music Festival in Rome, for the performance of Verdi’s Requiem with the Vienna Philharmonic conducted by Daniele Gatti. Among the most recent engagements, mention is to made of the participation, along with the Radio France Orchestra and Chorus, at the Festival de Saint-Denis, conducted by Valery Gergiev (July 2018 – Berlioz, Requiem), and the closing concert of Spoleto’s Festival dei Due Mondi, joined by Marion Cotillard (July 2018 – Honegger, Jeanne d’Arc au bûcher).The Chorus has also made numerous recordings. Together with the Accademia Orchestra, it took part in the recording of Madama Butterfly by Puccini, Requiem, Quattro pezzi sacri and Aida by Verdi, Stabat Mater by Rossini and by Pergolesi, Guillaume Tell e Petite Messe Solennelle by Rossini, War Requiem by Britten, Nessun Dorma – The Puccini Album with Jonas Kaufmann, Symphony no. 3 “Kaddish” di Bernstein and Verdi’s Otello.
Musicisti dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Quartetto Werther
Musicisti dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Marie-Ange Nguci
Coro dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia