Olivier Messiaen
Silvia Costa
Harawi
Canto d'amore e di morte
Silvia Costa è tra le giovani registe più affermate in Italia e in Europa. Dal 2006 è collaboratrice artistica di Romeo Castellucci per la maggior parte delle sue produzioni liriche. Nei suoi spettacoli infonde un personale concezione di teatro visivo e poetico, nutrito da una profonda ricerca sul ruolo dell’immagine e sul suo potere sullo spettatore.
In prima assoluta per il 66° Festival dei Due Mondi Silvia Costa mette in scena lo straordinario ciclo di lieder di Olivier Messiaen Harawi, nuova produzione del Festival, nei suggestivi spazi della ex-chiesa di San Simone. Interprete vocale è il soprano belga Katrien Baerts, al pianoforte Costanza Principe, tra le più raffinate musiciste italiane. Silvia Costa cura anche scene e costumi con la collaborazione di Michele Taborelli, le luci di Marco Giusti.
Ispirato dalle canzoni d’amore del popolo Quechua delle Ande sud-americane, da cui prende in prestito parole e melodie tradizionali, il ciclo di canzoni di Messiaen è permeato di amore e morte al pari di un grande antecedente nella storia della musica europea, la leggenda di Tristano.
«Per ascoltare questi canti» spiega Silvia Costa «c’è bisogno di abbandono, di sospendere la comprensione per farsi sorprendere dalla sua stranezza, dall’immediatezza quasi giocosa dei suoi versi, delle ripetizioni forsennate. Sono il delirio di una solitudine, enigmi di un’anima in pena, preghiere e scongiuri magici per poter riportare in vita il proprio amore. La dimensione teatrale segue questa navigazione nel mare scuro del dolore, estrapolando dal materiale musicale gli elementi per un rito funerario amoroso, fatto di memorie, di sensazioni a fior di pelle, di danze e sangue, odori, passioni notturne e sogni, perché l’amore trova la sua eternità nella morte, la sua realizzazione vera non è nella vita, ma in un aldilà incorporeo e atemporale».
Per l’occasione Silvia Costa sarà in residenza presso la Fondazione Mahler & LeWitt, anche con un Open Studio durante il quale presenterà alcuni dei suoi lavori visuali: disegni, schizzi e appunti prodotti durante la creazione di Harawi. «Il disegno ha sempre accompagnato il mio lavoro per il palcoscenico. È una pratica quotidiana, come un rito, spesso fatto nel silenzio della notte quando posso scendere nei pensieri e far sedimentare le sensazioni che colgo dal mondo diurno. Di recente, ho iniziato a condividere questa pratica con il pubblico. Voglio esplorare le possibilità di questo tipo di creazione diaristica, come un modo per aprire verso l’esterno la riflessione e aggiungere livelli di sguardo al lavoro scenico».
musica Olivier Messiaen
concezione, scene e costumi Silvia Costa
luci Marco Giusti
collaborazione alle scene Michele Taborelli
suoni Nicola Ratti
assistente alla regia Josephine Kirch
soprano Katrien Baerts
pianoforte Costanza Principe
direttore di scena Paolo Bandiera
capo macchinista Leonardo Bellini
capo elettricista Luca Cittadoni
consollista luci Marco Mosca
capo attrezzista Francesco Lo Pinto
produzione Spoleto Festival dei Due Mondi
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Testo di Andrea Penna
Nel piccolo cimitero di Saint-Théoffrey giacciono una accanto all’altra le tombe di Olivier Messiaen e della sua seconda moglie, la pianista Yvonne Loriod, affacciate sulle acque tranquille del lago Pétichet, di fronte alla mole della Gran Serre. La tomba di Messiaen, una lapide in marmo in forma di colomba, porta inciso il pentagramma di “Tous les oiseaux des étoiles” , estratto dall’undicesima melodia della raccolta Harawi. Dettaglio emblematico della centralità che ricopriva per Messiaen il ciclo vocale composto nel 1945 proprio in Isère, nel ritiro montano sul lago. Può forse sorprendere che un compositore noto per la profonda fede cattolica abbia scelto come epitaffio un estratto dal ciclo che per primo, nell’estate del 1945 si distanzia dalle opere d’ispirazione religiosa, segnando l’inizio di una trilogia improntata al binomio eros-thanatos e cristallizzata intorno alla leggenda medievale di Tristano e Isotta. Una dimensione personale dell’amore e del sentimento innerva infatti l’intera trilogia, avviata da Harawi e proseguita con la grandiosa architettura sonora di Turangalila- Symphonie ( 1946-48) e i Cinq rechants (1949) per coro a cappella. Messiaen considerava la trilogia composta da “Tre Tristani di organico e dimensioni molto differenti” abitati da un’unica “idea di un amore fatale, irresistibile, di un amore che per principio conduce alla morte, sorpassando il corpo, superando gli stessi aspetti spirituali per proiettarsi su scala cosmica ”. Il mito di Tristano consente a Messiaen anche di fare riferimento a due compositori la cui influenza è stata fondamentale, Wagner e Debussy: gli autori di Tristan un Isolde e Pelléas et Mélisande sono poli opposti di un’unica galassia di assonanze musicali attorno alla quale orbitano Berlioz, Mozart e i più vicini Stravinskij e Bartók. Nessuna influenza priva però della sua originalità il linguaggio musicale di Messiaen, personalità difficile da ascrivere a scuole e correnti, nonostante alcuni suoi celebri allievi abbiano a volte tentato di forzarne i processi compositivi nelle linee germinative della musica d’avanguardia.
Harawi è il terzo ciclo vocale di Messiaen, ancora una volta autore anche del testo poetico, strettamente vincolato alla funzione musicale: mentre però Poème pour Mi (1936) e Chants de Terre e de Ciel (1938) sono testimonianze, nella loro radiosa espansività, dell’amore per la prima moglie, la violinista e compositrice Claire Delbos e della gioia per la nascita dell’unico figlio Pascal, Harawi presenta una scrittura poetica più densa e complessa, di marcata matrice surrealista, seguendo gli interessi letterari sviluppati da Messiaen in quei difficili anni. Creato nel 1946 a Bruxelles dal soprano Marcelle Bunlet, già interprete dei due precedenti cicli dell’autore e di opere di Strauss, Dukas, Roussel e Milhaud, Harawi è pensato dal compositore “per il registro medio e grave di un grande soprano drammatico, con alcuni Si acuti di forza”. È un lavoro cardine dell’esperienza compositiva di Messiaen, in cui trovano applicazione più sistematica alcuni punti chiave del suo processo compositivo. Queste concezioni e tecniche sono esposte nel trattato Tecnique de mon language musicale, pubblicato nel 1944, in cui Messiaen teorizza un sistema compositivo basato su ritmi non retrogradabili – essenzialmente ritmi palindromi - e su un’elaborazione del temperamento equabile fondato sulla sua teoria dei modi a trasposizione limitata. Messiaen non approda dunque al serialismo e pur non rifiutando l’atonalità struttura la sua esperienza compositiva su una personale ricerca del colore musicale, cui perviene attraverso complesse combinazioni di ritmi e timbri: vi convergono in misura sempre maggiore gli elementi naturali del canto degli uccelli, una costante dell’ispirazione di Messiaen, ma anche modi, piedi e fonemi di estrazioni diverse, dalle tradizioni precolombiane a quelle indiane antiche. In Harawi il nucleo tematico di amore e morte, racchiuso nella leggenda medievale e poi romantica di Tristano e Isotta, si ibrida con il canto d’amore peruviano yaravì, originato da canti ancestrali in lingua quechua, ceppo linguistico del popolo inca. Messiaen aveva incontrato i canti nel volume di etnomusicologia La Musique des Incas et ses survivances ( Béclar - d’Harcourt, Paris 1925) e ne aveva estratto ritmi e linee melodiche, oltre che un buon numero di lemmi, articolandoli nella struttura del suo poema. Dei due amanti soltanto la donna ha un nome proprio, Piroutcha, mentre dal canto dell’anonimo amante apprendiamo di un simbolico rito di morte, che senza dividere i due amanti li proietterà in uno stadio di sublimazione ultraterrena. La prima lirica, La ville qui dormait, ci presenta l’incontro notturno: in un’atmosfera misteriosa, pervasa di tensione, che orbita intorno alla tonalità di Sol maggiore, al tocco di una mano segue il fissarsi intenso di uno sguardo; le lunghe note tenute dilatano la linea melodica del soprano evocando l’immobilità della notte. Nel secondo canto, Bonjour toi, colombe verte, compare un uccello di evidente valenza simbolica sia nella mitologia peruviana che in ambito cristiano. Nel suo saluto frammenti di canto di uccelli si intrecciano al motivo principale, originato dalla rielaborazione del canto yaravì, che diverrà il tema principale del ciclo. Segue Montagnes, il ‘’nero su nero’’ della morte: la scrittura fitta, martellante e aspra ripete una cellula tematica prossima all’atonalità, in netto contrasto all’inebriante eros della canto precedente. La danza Doundou Tchil, ripete ossessivamente per venti volte l’onomatopea in lingua quechua. Sullo snodarsi ipnotico dei suoi ritmi, che evocano il vibrare dei sonagli, si leva la melodia “Piroutcha te voilà”., tratta da un canto Khachampa di Cuzco, su cui si prende forma il nome della donna. Con un altro motivo della raccolta Béclard-d’Harcourt, un canto di Cuenca dal nome Piruca L’Amour de Piroutcha, si apre il dialogo fra eros e thanatos; il confronto, carico di sensualità, si articola nel profilo rituale di una ninna nanna ma si risolve nell’evocazione della morte, espressa nel desiderio estremo dell’uomo “Coupe moi la tete, doundou tchil”. L’eco di un grido, un richiamo, memore forse della seconda delle Chansons madécasses di Ravel, apre Répétition Planétaire, in cui l’immagine della creazione divina prende vita attraverso un ciclico rituale di fonemi simili a inintellegibili formule magiche. L’intera struttura del ciclo di dodici poemi è organizzata con calcolata misura in un gioco di simmetrie e contrasti il cui baricentro è fissato nel settimo canto, Adieu. All’amore fa eco la morte e mentre gli appellativi degli amanti formano una solenne cantilena ecco ritornare tre volte il tema portante in mi bemolle. Una lunga cadenza del pianoforte chiude il brano. Nelle tre sezioni ripetute di Syllabes si mescolano ritmi e danze di provenienze diverse: in un crescendo di animazione vengono invocate la colomba verde e Piroutcha, poi nel segmento finale esplode un’arcaica danza peruviana, la danza delle scimmie, colorata da rapide onomatopee sillabiche, con l’iterazione e della sillaba ‘’pia’’. Canto estremo, elevazione verso la luce e la felicità cosmica, L’escalier redit, gestes du Soleil torna a gravitare sul mi bemolle maggiore del tema principale. I ritmi contrastanti nell’accompagnamento pianistico amplificano in un clima allucinatorio le reiterate invocazioni di morte intrecciate a simbolismi arcani, culminanti nella sferzante risoluzione al Si bemolle acuto sul verso Inventons l’amour du monde. Nel seguente Amour, oiseau d’étoile, marcato “Presque lent, avec charme et tendresse”, la linea vocale disegna un’oasi di sognante lirismo notturno mentre canti di uccelli increspano ripetutamente l’accompagnamento pianistico. Si rivela infine la simbologia nascosta dietro al “coupe moi la tete” udito nella quarta melodia, perché il verso “Ta tete a l’envers sous le ciel” è una citazione diretta del quadro Seeing is believing, del pittore surrealista Roland Penrose, il marito della fotografa Lee Miller: descrive infatti una mano che uscendo dall’acqua si tende verso una testa femminile rovesciata e sospesa nel cielo. Un quadro appartenuto a Max Ernst dal quale Messiaen racconta di essere rimasto impressionato. Con un nuovo contrastante scarto di ritmi e colori si approda al penultimo canto, Katchikatchi les étoiles. Il breve brano porta il nome in lingua quechua della cavalletta, il cui saltellare viene suggerito al pianoforte dal piccolo cluster già udito in Doundou Tchil e Adieu. La melodia della danza invece è originaria di Cuzco e illustra un nuovo, perturbante sogno dei due amanti, in cui sangue e assassinio si mescolano a immagini cosmiche. Nell’ampio canto finale, mentre i due amanti scompaiono nel nero buio della morte eterna, ai versi corrispondono altrettanti incisi musicali che ricapitolano le diverse tappe del ciclo, da Montagnes a Syllabes fino a tornare all’iniziale La ville que dormait. La voce scandisce con solenni, ampie frasi la conclusione del racconto, con una progressiva rarefazione verso il finale, mentre il pianoforte articola e varia il tema primigenio in Mi bemolle maggiore, chiudendo a anello l’intero ciclo.
Originaria di Treviso studia Arti Visive e dello Spettacolo all’Università IUAV di Venezia. Nel 2006 inizia a lavorare con la Compagnia teatrale Societas Raffaello Sanzio fondata da Romeo Castellucci e fino al 2020 Costa lavora come attrice e collaboratrice artistica alla maggior parte delle creazioni teatrali e operitiche del regista cesenate. Parallelamente porta avanti propri progetti artistici, sviluppando dal 2007 un tipo di teatro visivo e poetico, nutrito da una profonda riflessione intorno al ruolo delle immagini, al loro senso e potere sullo spettatore. Di volta in volta autrice, regista, interprete e scenografa, Silvia Costa è un’artista proteiforme che utilizza questi diversi ambiti estetici per approfondire la sua ricerca teatrale. Le sue creazioni vengono rappresentate regolarmente nei principali festival italiani e internazionali. Dal 2019 Costa inizia a creare le proprie proprie regie anche per il mondo dell’opera, in particolare alla Staatsoper di Stoccarda, Opera di Lille, Opera National de Lorraine, Philharmonie di Parigi. Dal 2020, è parte dell’ensemble artistique della Comédie de Valence.
Il soprano belga Katrien Baerts debutta all'Opera Nazionale di Amsterdam in una nuova produzione di Lulu e fa la sua prima apparizione a Tokyo con House of the Sleeping Beauties di Kris Defoort. Si esibisce in diverse prime mondiali al Concertgebouw di Amsterdam, nel ruolo di Clara nell'opera The Rise of Spinoza di Loevendie e nel ruolo del titolo in Suster Bertken di Zuidam. Il suo repertorio concertistico comprende musiche da Bach, Mozart e Brahms a Vivier e Ligeti, con orchestre come la WDR Symphony Orchestra, la BBC Philharmonic Orchestra, la Royal Concertgebouw Orchestra, la Dutch Radio Philharmonic Orchestra e la Chamber Orchestra of Europe. La scorsa stagione ha debuttato al Théâtre des Champs-Élysées di Parigi e alla Konzerthaus di Dortmund con l'Orchestra Filarmonica di Rotterdam diretta da Yannick Nézet-Séguin. Baerts lavora con direttori come Richard Egarr, Vladimir Jurowski, Oliver Knussen, Reinbert de Leeuw, Emilio Pomárico e Bas Wiegers. Il suo debutto al Barbican Center di Londra e il suo album Berg-Zemlinsky con Het Collectief sono stati accolti con entusiasmo dalla stampa.Tra gli impegni più recenti figurano un ruolo da protagonista in Bählamms Fest di Olga Neuwirth come Teodora alla Ruhrtriennale, 2021, concerti con la Residentie Orchestra (Mozart), con l'Orchestra di Anversa (A. Berg), Rundfunk Orcherster Berlin (Cl. Vivier), vari concerti con Het Collectief, Klangforum, Asko/Schoenberg, e altri. Baerts viene invitata da molti festival europei come Salzburger Festspiele, Holland Festival e Klangspuren.
Nata in una famiglia di musicisti nel 1993, Costanza Principe inizia a esibirsi in pubblico a soli sette anni. Si diploma nel 2010 presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano sotto la guida di Vincenzo Balzani con il massimo dei voti, la lode e la menzione. Nel 2015 consegue a pieni voti il Bachelor of Music e, nel 2017, il Master of Music presso la Royal Academy of Music di Londra, dove studia dal 2011 con Christopher Elton. Nel 2020 si diploma con il massimo dei voti presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia dove studia dal 2017 con Benedetto Lupo. Vincitrice di premi in concorsi pianistici internazionali, tra i quali il Lilian Davies Prize della Royal Academy of Music a Londra, il secondo premio al Beethoven Society of Europe Intercollegiate Senior Competition (Regno Unito), al Concours International de Piano a Lagny-sur- Marne (Francia) e al Concorso Internazionale “Premio Pecar” di Gorizia. Dopo il debutto come solista con orchestra, a quindici anni, con tre concerti di Mozart sotto la direzione di Aldo Ceccato, collabora in seguito con numerose orchestre tra le quali l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali, Orchestra Filarmonica Marchigiana, Orchestra Sinfonica Siciliana, Filarmonica Toscanini, Armenian State Symphony Orchestra, Kaliningrad Symphony Orchestra, Turkish National Youth Orchestra e Royal Academy Symphony Orchestra. Il suo disco di debutto, interamente dedicato a musiche di Robert Schumann, è uscito ad aprile 2022 per l’etichetta Piano Classics.
Laetitia Casta
Alessandro Baricco