Cameron Carpenter
All You Need is Bach
La Basilica Papale di Santa Maria degli Angeli ospita uno dei concerti più attesi di Spoleto66.
È all’interno di questo luogo simbolo della cristianità, – tra le sue mura San Francesco comprese la sua vocazione – che l’artista americano Cameron Carpenter sarà interprete all’organo di un programma di grande intensità e magnetismo che trova nella musica di Bach un punto fermo dello strumento, e nello strumento una “macchina di emozioni scintillanti”.
Riconosciuto all’unanimità come il più grande organista vivente, Carpenter, classe 1981, grazie alla sua abilità e musicalità ha scardinato i tabù della cultura musicale classica. Formatosi presso la prestigiosa Juilliard School di New York, si impone sin da subito come il virtuoso per eccellenza.
La sua fluidità, sicurezza e bravura sono messe a servizio di un repertorio vastissimo che include composizioni originali e centinaia di trascrizioni e arrangiamenti – e l’uso della tecnica lo pone automaticamente accanto a figure come Glenn Gould e Wendy Carlos.
organo Cameron Carpenter
Johann Sebastian Bach
Fantasia e fuga in do minore BWV 537
Corale preludio su O Mensch, bewein’ dein Sünde gross BWV 622
Preludio e fuga in mi bemolle maggiore St. Anne BWV 552
Variazioni Goldberg
Testo di Giordano Tedoldi
Per quanto possa sembrare paradossale, oggi risulta molto difficile ascoltare Bach. Farlo con l’immediatezza, la spregiudicatezza, l’impudenza con cui si ascoltano le canzoni di Sanremo, o il nuovo singolo, fresco di lancio su Spotify, di una popolare band. Va da sé che la sua arte ha una complessità ben maggiore, ma non essendo questa mai fine a se stessa – come accade invece in alcune propaggini della musica contemporanea – è del tutto lecito volgersi a Bach attraverso la più impreparata e eccitante delle esperienze: ascoltarlo da zero, come fossimo appena nati alla musica.
Del resto anche Bach ha i suoi successi, le sue hit di immediata presa, come le Variazioni Goldberg, che ascoltiamo nella seconda parte di questo concerto. La semplice aria a due voci che apre la composizione, poi modellata in trenta variazioni delle quali ciascuna è un universo a sé stante, è diventata una melodia familiare non meno di certe canzoni che, dopo un paio di ascolti, non vogliono sloggiare dalla nostra mente. Ora, immaginate che in un universo parallelo, Lucio Battisti, avendo composto la melodia di “Con il nastro rosa” – nel suo insieme di strofa e ritornello, dunque bipartita, come l’aria di Bach (e tutte le sue variazioni) -, invece che utilizzarla tale e quale nella canzone di un album, decida di sfruttarla per generarne trenta variazioni perfettamente autonome: avremmo le “Variazioni Battisti”. Ecco, nel nostro universo siamo più fortunati perché disponiamo già delle Goldberg che assolvono perfettamente lo stesso compito: rapirci con un’aria, cioè una melodia facile, orecchiabile proprio come una bella canzone, e poi, come un seme magico, ascoltarla germogliare in trenta fioriture mirabilmente variegate, ma tutte inconfondibilmente riconducibili alla comune origine.
Un ascolto naïf, arreso, non agguerrito, dunque. Benignamente regressivo. Se proponiamo questa soluzione così radicale e che certuni considereranno blasfema, è perché a furia di sottolineare la complessità e la vertiginosa altezza speculativa delle sue composizioni, qualificandole come severe, impersonali, perfino scientifiche, quasi fossero l’equivalente musicale della meccanica quantistica, si è ottenuto che il semplice nome di Bach intimidisca ascoltatori raffinatissimi, e venga brandito, senza che ne abbia colpe, come una spada che divide la vera musica, quella che piace ai premi Nobel per la fisica, e che al suo interno nasconde enigmi d’ogni sorta, dalla produzione d’intrattenimento, che piace alle persone comuni. Un risultato che lungi dal tornare a lode di Bach, come si pretende, ne limita la potenza. Perfino un suo geniale interprete come Glenn Gould sosteneva che solo nei pezzi più polifonicamente intricati Bach avrebbe rivelato il suo vero volto, e che in opere leggiadre come il Concerto per due violini in re min. o perfino alcune variazioni delle Goldberg ci fosse una concessione al gusto del tempo. Ma perché non ipotizzare, invece, che Bach si sia divertito a comporre anche quei brani più cantabili, e che i quattro duetti, spigliati, impertinenti, che seguono i severi ventuno preludi corali della Terza parte della Clavier Übung, non siano stati messi lì per imperscrutabili motivi, ma perché gli piacevano e erano anch’essi un’espressione pura della sua arte?
È vero, Bach è molto amato da scacchisti, matematici e fisici, alcuni dei quali si spingono a dire che le sue composizioni esprimono quella bellezza semplice, austera in cui, per citare un premio Nobel, Steven Weinberg, «ogni nota è esattamente al suo posto», proprio il genere di bellezza che anima, ad esempio, la teoria della relatività di Einstein; ma è altrettanto amato da chi non sa calcolare l’area del quadrato e, nonostante gli sforzi di Carlo Rovelli, non ha capito cosa accada di preciso in un buco nero, a parte il fatto che è buio pesto. Per via della loro armoniosa perfezione, alcune composizioni di Bach, come l’Arte della fuga, suonano, forse ancor più che le opere propriamente sacre come le Passioni o la Messa in si min., come una prova musicale dell’esistenza di Dio, ma qui l’accento deve battere sull’aggettivo, “musicale”, appunto: l’epifania del divino, in Bach, si ha restando all’interno della musica, non per via di sottili o astruse argomentazioni, simbolismi o numerologie. Viene in mente a tal proposito il regista svedese Ingmar Bergman, autore di alcuni bellissimi film, tra i quali, imperdibili, i tre raggruppati nella cosiddetta “Trilogia del silenzio di Dio”: pellicole crude, disperate, nichiliste. Eppure un uomo così crucciato dall’afasia della divinità, e dai rumori del nulla, si rivolgeva a Bach; in “Come in uno specchio” (1961), i due protagonisti prendono coscienza della loro tragica sorte accompagnati, si direbbe consolati, dalle note insieme graffianti e carezzevoli della sarabanda dalla Seconda suite per violoncello in re min.
In questo concerto ascoltiamo opere molto complesse, ricche di dottrina contrappuntistica, come le drammatiche (e talvolta tempestose) fughe che seguono la Fantasia in sol min. e il Preludio in Mib., o quelle più dolci e intime, di diafana iridescenza, quali le due in do maggiore e in fa maggiore, tratte dal secondo libro del Clavicembalo ben temperato; ma chi dice che, in prima battuta, sia impossibile apprezzare queste prodezze se non conoscendone più o meno saputamente stili, tecniche, procedimenti? Perché, in breve, è lecito amare i Pink Floyd o i Doors anche senza sapere distinguere un do maggiore da un do minore, e per Bach, invece, sembrerebbe richiesto recitare la definizione di un canone inverso o una fuga tripla? “Perché la complessità di Bach lo richiede”, è la risposta più comune; no, la complessità di Bach, non essendosi incarnata in un manuale di armonia (che Bach non ha mai scritto, a differenza di altri compositori forse non grandi quanto lui) ma in raccolte musicali, non può essere appresa in astratto. Insisto: Bach non è un concetto, e le sue composizioni non sono teorie o summae. Sono opere musicali, e come il Campo di grano con volo di corvi può colpire al cuore anche chi non si sia addentrato nei labirinti psicologici dell’artista, perché è un miracoloso dipinto, non un referto psichiatrico, e perché van Gogh, come scriveva Artaud, nel parossismo del suo giallo rimane all’interno dei confini della pittura, così è per gli arazzi sonori di Bach, le cui elaboratissime trame, per essere godute, non hanno bisogno altro che di orecchie e dei bilioni (a tenerci bassi) di sinapsi al secondo di una mente aperta, senza muri, né timorosa né presuntuosa.
Vi consiglio di approcciarvi a questo concerto con una mentalità libertina, più attratti dal mistero, dal non sapere quasi nulla dell’oggetto d’amore, anziché impacciati da noiose e pettegole informazioni. Non si crederà che, al tempo di Bach, tutti coloro che entravano in chiesa e ascoltavano Johann Sebastian medesimo alla panca dell’organo, fossero musicologi? Certo, c’erano anche altri compositori e organisti, sicuramente qualche dilettante o amatore, ma per la gran parte erano, musicalmente parlando, dei profani, c’erano ragazzi, bambini. Insomma, persone come noi. E se ne stavano incantati ad ascoltare Bach che improvvisava su un tema per una buona mezz’ora, sfoggiando tutta la gamma coloristica di quegli splendidi organi tedeschi che, in molte occasioni, era stato chiamato a collaudare e a perfezionare.
Dunque, infine, chi è l’ascoltatore ideale di Bach? Non è un erudito, non è uno scienziato, non è un artista: è un essere umano che agisce, patisce, vuole, rinuncia, gioisce, soffre. Ed è forse in certi pezzi più umili, soffusi di virtuosa modestia – come, nel nostro concerto, il Preludio corale su “O Mensch, bewein’ dein Sünde gross”, mentre la Fantasia su “Komm, Heiliger Geist”, dal carattere di esuberante e luminoso appello, si accosta alla maniera sfarzosa di Bach – che l’ascoltatore di oggi troverà maggiore risonanza con il suo vissuto; la loro sublime concisione uno specchio della sua fragilità, la loro fugace ma indimenticabile poesia un riflesso scintillante di nostalgica beatitudine, la stessa che, nelle nostre tane domestiche, afflitti da pensieri, nevrosi, frustrazioni, continuiamo a perseguire, cercandola spesso nell’invisibile mondo dei suoni, dove nessuno sa porgercela con la naturalezza di Bach.
Con la sua straordinaria musicalità e infinita abilità tecnica, l'organista americano Cameron Carpenter è uno dei talenti eccezionali del panorama musicale internazionale. Il suo spirito pionieristico ha già lasciato un segno nella storia della musica più recente: con l'International Touring Organ (ITO), realizzato secondo i progetti dello stesso Cameron, ha effettuato tournée non solo in Europa e negli Stati Uniti, ma anche in Australia, Nuova Zelanda e Asia. Nel 2022 Cameron ha registrato le Variazioni Goldberg di J.S. Bach e il suo arrangiamento della Sinfonia Romantica di Howard Hanson per l'etichetta Decca. Nel 2019 ha pubblicato le Variazioni Paganini di Sergei Rachmaninoff e il Concerto per organo di Francis Poulenc con la Konzerthausorchester Berlin diretta da Christoph Eschenbach per Sony Classical, una registrazione che è stata premiata con l'OPUS KLASSIK 2020. Le registrazioni precedenti pubblicate da Sony Classical includono gli album All You Need is Bach (2016) e If You Could Read My Mind (2013). Cameron Carpenter è stato il primo organista in assoluto a ricevere una nomination ai GRAMMY per il suo album Revolutionary (2008, Telarc). Anche l'album Cameron Live! (2010) è stato pubblicato da Telarc. Nel 2021 ha eseguito la Sinfonia n. 3 per organo, ottoni e percussioni di Miloslav Kabeláč con la Dresdner Philharmonie sotto la direzione di Tomáš Netopil per la Deutschlandfunk Kultur. La stagione attuale vede Cameron impegnato in concerti a Berlino, Lussemburgo, Graz, Breslavia e in una tournée negli Stati Uniti. Nato nel 1981 in Pennsylvania, negli Stati Uniti, Cameron ha eseguito per la prima volta il Clavicembalo ben temperato di J. S. Bach all'età di undici anni ed è diventato membro dell'American Boychoir School nel 1992. Oltre che dalla sua mentore Beth Etter, ha avuto come insegnanti John Bertalot e James Litton. Alla University of North Carolina School of the Arts ha studiato composizione e organo con John E. Mitchener. Cameron ha trascritto più di 100 opere per organo, tra cui la Sinfonia n. 5 di Mahler, e mentre era studente alla Juilliard School di New York, che ha frequentato dal 2000 al 2006, ha unito composizione di opere originali allo studio del pianoforte con Miles Fusco. Nel 2011 il suo concerto per organo e orchestra The Scandal è stato eseguito in prima assoluta dalla Die Deutsche Kammerphilharmonie Bremen alla Kölner Philharmonie e nel 2021 la sua ouverture per orchestra e organo Great Expectations è stata eseguita dalla Deutsches Symphonie-Orchester Berlin. Nel 2012 Cameron ha ricevuto il Leonard Bernstein Award dello Schleswig-Holstein Musik Festival.
Musicisti della Budapest Festival Orchestra
Musicisti della Budapest Festival Orchestra
Orchestra da Camera di Perugia
Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Jakub Hrůša