Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Barbara Hannigan
Girl Crazy. Concerto finale
Barbara Hannigan torna in Piazza Duomo per l’appuntamento più atteso e partecipato del Festival – il Concerto Finale – alla testa dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, in residenza a Spoleto per il quarto anno.
Che si tratti di grida, schiocchi, sussurri, grappoli di consonanti o morbide melodie, la voce pirotecnica di Barbara Hannigan è sempre all’altezza. Il suo virtuosismo ne ha fatto la musa dei più grandi compositori contemporanei, da John Zorn a Salvatore Sciarrino. Soprano e direttrice d’orchestra, crea delle performance uniche nel loro genere, dissolve il confine tra la bacchetta dalla quale una frase musicale scaturisce e la voce che la intona. Il pubblico del Festival la ricorda sul palcoscenico di Piazza Duomo, quando nel 2022 vestiva i panni di Elle, la allucinata protagonista di La Voix Humaine di Francis Poulenc, con un grande schermo che rendeva visibili per il pubblico anche i suoi gesti.
Continuando la collezione di ruoli femminili fuori dall’ordinario, che predilige, Hannigan porta al Festival la Girl Crazy Suite, nell’adattamento che ha curato insieme al compositore Bill Elliott dal musical omonimo di George Gershwin. Andato in scena nel 1930, è tra i più grandi capolavori della tradizione americana, ha decretato l’ascesa di Ginger Rogers nel pantheon delle attrici, mentre nella versione cinematografica il cast includeva Mickey Roneey e Judy Garland. La Suite ha fatto parte del tour mondiale di Hannigan con la Ludwig Orchestra nel 2017, e del primo album registrato l’anno successivo per Alpha Records da cantante e direttrice d’orchestra, premiato con un Grammy Award.
Nella prima parte del concerto l’accostamento di brani sinfonici di diverse epoche è altrettanto pungente. Si comincia con Le festin de l'araignée, suite dal balletto di Albert Roussel che racconta una sfilata di insetti intrappolati nella tela del ragno tra le piante di un giardino assolato. La stessa luce filtra tra le pagine della Sinfonia “Londra” di Haydn, tra le più frizzanti invenzioni del compositore. Tra le opere più amate di Jean Sibelius, con le sue atmosfere malinconiche e cristalline il Valse triste sta alla Finlandia come Sul bel Danubio Blu sta all’Austria.
Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Direzione e soprano Barbara Hannigan
Albert Roussel
Le festin de l'araignée, op.17
Suite
Franz Joseph Haydn
Sinfonia n. 104 in re maggiore London, Hob:I:104
Jean Sibelius
Valse triste op. 44 n. 1
George Gershwin
Girl Crazy Suite
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produzione Spoleto Festival dei Due Mondi
Si avvisa che le date e gli orari potranno subire variazioni.
Per aggiornamenti consultare il sito www.festivaldispoleto.com
Il gusto dell'imprevedibile e dello stupore
è il filo rosso del concerto finale di
quest'anno, in cui sono accostati
compositori apparentemente lontani
fra loro come Roussel, Haydn,
Sibelius e Gershwin.
Testo di Luca Ciammarughi
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Le festin de l’Araignée (“Il banchetto del ragno”), balletto-pantomima scritto nel 1912 dal francese Albert Roussel (1869-1937) su un soggetto di Gilbert de Voisins, stupisce innanzitutto per la tematica inusuale: danze e entrées presentano l’arrivo di una serie di insetti che, intrappolati nella tela, fanno da pasto al ragno, il quale a sua volta viene ucciso da una mantide religiosa. L’eterno e spietato ciclo di vita e morte è simboleggiato dai funerali dell’effimera, che vive poche ore: la sua ultima danza, volubile e dionisiaca, sembra incarnare la natura stessa della musica. Roussel fu, prima che musicista, ufficiale di marina: la sua attrazione per la natura è piuttosto lontana da quella, còlta nell’istante ma trasfigurata, degli impressionisti (sebbene ci sia un riferimento alle atmosfere del Prélude à l’après midi d’un faune); c’è in lui semmai una precisione, un realismo e un uso della dissonanza prossimo al Ravel delle Histoires naturelles o al Bartók di All’aria aperta – e che apre la strada al visionario Insektarium di Rued Langgaard. La suite orchestrale, registrata dallo stesso Roussel nel 1928, si apre con un Prélude in cui il flauto, partendo da un si ribattuto tre volte, disegna una melopea morbida, in un clima inaspettatamente pastorale, interrotto però dai primi sentori di una vita microscopica che si manifesta, sul ritmo di un tamburino, nell’entrata delle formiche: guizzi ascendenti dei violini rappresentano il loro rapido moto, mentre oboe, clarinetto e fagotto suggeriscono lo sforzo nel cercare di sollevare un petalo di rosa caduto. Sopravviene la farfalla: i violini suggeriscono coi cambi di corda il fulmineo battito d’ali, il flauto e l’ottavino dialogano nell’acuto suggerendo la natura eterea del lepidottero. Alcune note minacciose dei corni suggeriscono il cambio di clima (“Il ragno invita la farfalla a danzare più vicino, dove si trova la sua tela”) e il moto dei violini si arresta repentinamente quando la farfalla rimane intrappolata: la sua morte è descritta da due sole note, discendenti, del violino solo. Dopo la schiusa dell’effimera, la danza del caduco efemerottero è caratterizzata musicalmente da una timbrica pulviscolare e da armonie orientaleggianti (forse memoria sonora dei viaggi di Roussel in Indocina). Il crescendo è interrotto da una discesa cromatica improvvisa dei legni, che rappresenta la morte dell’effimera, i cui funerali si svolgono in un clima più elegiaco che tragico. Il corteo si allontana e sparisce, per lasciare spazio alla notte che “cade sul giardino solitario” – quasi controparte lunare del raveliano Jardin féerique di Ma mère l’oye: ritorna la nota si ribattuta del flauto, in una ciclicità che corrisponde a quella della natura.
Utilizzando un’orchestra tutt’altro che ipertrofica, con un uso raffinatissimo di strumenti come la celesta, l’arpa e poche percussioni (triangolo, piatti, tamburino), Roussel manifesta in questo lavoro una fantasia timbrica che attrasse molti dei grandi direttori del Novecento, a partire da Toscanini, seguito da Munch, Fourestier, Leibowitz, Paray, Ansermet, Martinon.
In Haydn, come in Roussel, l’imprevedibilità è legata al rifiuto di una collocazione precisa: se a lungo si è etichettato il compositore austriaco come “classicista”, oggi si è più inclini a evidenziare nella sua musica anche i turbamenti e le inquietudini dello Sturm und Drang e dell’Empfindsamer Styl (stile sensibile). Ma Haydn rimane superbamente isolato, inclassificabile. Ultima delle dodici sinfonie cosiddette “londinesi”, la n. 104 in re maggiore è emblematica dell’inimitabilità haydniana e costituisce una sorta di summa della sua arte. Eseguita il 4 maggio 1795 al King’s Theatre di Londra come evento speciale organizzato dal famoso impresario Solomon, sotto la direzione di Giovan Battista Viotti, fu concepita per un organico che raggiungeva il numero, straordinario per l’epoca, di sessanta elementi. L’orchestra, in cui rivestono un ruolo determinante i fiati, è già quella beethoveniana, con i quattro legni raddoppiati a due parti, gli ottoni a due (corni e trombe), i timpani e gli archi.
L’Adagio d’apertura è contraddistinto da un’alternanza di umori che ritroveremo in tutta la partitura: grandioso e trionfante, l’incipit è seguito da una frase elegiaca, dolente. L’Allegro che segue si contraddistingue per un tema morbidamente viennese, schubertiano ante-litteram, che informa di sé gran parte dell’esposizione. Da un frammento del tema, composto da quattro semplici ribattuti, prende le mosse lo sviluppo, il cui tormentato pathos è interrotto dal primo dei tanti silenzi che contraddistinguono l’opera, caratterizzata dal gusto della suspense. Le pause svolgono un ruolo cruciale anche nell’Andante: nobile semplicità e quieta grandezza, senonché proprio i silenzi e le inaspettate modulazioni al minore accentuano la sottile malinconia di questo tema e variazioni, che presenta una coda armonicamente visionaria e dolcemente sognante.
Anche il Menuetto, apparentemente regolare nell’andamento, presenta bizzarrie: il crescendo impetuoso dei timpani, il lungo silenzio prima del trillo dei flauti, la modulazione inaspettata a si bemolle e le enigmatiche, solitarie due note ripetute dall’oboe all’inizio del Trio scardinano l’orizzonte d’attesa. Nel finale, Allegro spirituoso, l’elemento popolare già accennato altrove si palesa nel tema campestre (il canto croato “Oj Elena”), su un bordone di violoncelli, contrabbassi e corni. Complesso nella polifonia, pieno di trovate ritmiche audaci, questo finale conferma la tendenza alle opposizioni umorali: lo spirito festoso domina e conduce a un’apoteosi “in gloria”, ma isole elegiache interrompono di tanto in tanto l’allegrezza, come sospensioni metafisiche spesso precedute o seguite da significativi silenzi.
Agli antipodi rispetto alle atmosfere sfarzose del valzer ottocentesco, la Valse triste op. 44 n. 1 faceva inizialmente parte delle musiche di scena che Sibelius compose per il dramma Kuolema, nel 1903; fu poi rivista nel 1904 ed ebbe la sua prima come brano da concerto il 25 aprile al Teatro Nazionale di Helsinki. In una nota al programma, è Sibelius stesso a evocare la situazione scenica: «È notte. Il figlio, che è stato a guardare accanto al capezzale della madre malata, si è addormentato per l’assoluta stanchezza. Gradualmente una luce si diffonde nella stanza. C’è un suono di musica lontana: [...] una melodia di valzer galleggia lontana dalle nostre orecchie. La madre addormentata si sveglia, si alza dal letto e, nel suo lungo abito bianco, che assomiglia a un abito da ballo, inizia a muoversi silenziosamente e lentamente avanti e indietro. Agita le mani [...] come se stesse convocando una folla di ospiti invisibili. E ora compaiono queste strane coppie visionarie, che si voltano e scivolano verso un ritmo di valzer soprannaturale». La donna affonda esausta sul suo letto e la musica si interrompe, poi raccoglie le forze e i ballerini tornano, in un ritmo selvaggio e folle; quando la strana gaiezza raggiunge il culmine, la madre emette un grido disperato e gli ospiti spettrali svaniscono con il morire della musica. «La morte si trova sulla soglia». Sibelius evoca quest’atmosfera umbratile e fantasmatica con dinamiche ai confini dell’udibile, ambiguità armoniche (il sol maggiore è affermato solo a tratti, in un clima di forte instabilità tonale) e continue appoggiature che comunicano un senso di spleen. Il risorgere della vitalità dalle vestigia del valzer viennese, per due volte, è breve e minato da elementi di accentuato patetismo. Prima del silenzio finale, la presenza della morte si fa avvertire nella chiusa “a quattro violini soli”. Girl Crazy è il titolo di un musical che George Gershwin scrisse nel 1930 su testi di Ira Gershwin e libretto di Guy Bolton e John McGowan. Fra le protagoniste, Ethel Merman e Ginger Rogers, che grazie a questo spettacolo divenne una star. La Suite diretta da Barbara Hannigan è un’elaborazione di Bill Elliott, che coglie gli elementi di sperimentazione formale presenti nella musica di Gershwin e, invece di edulcorarli, li accentua. Alcuni celebri Songs (But not for me, Strike up the Band, Embraceable You, I Got Rhytm) vengono cuciti in un flusso continuo, in cui Elliott inserisce citazioni (in particolare, una frase dalla Terza Sinfonia di Mahler, ma anche alcuni rimandi a Ligeti, compositore cruciale per Barbara Hannigan) che sottolineano le ascendenze tardoromantiche di una parte dell'ispirazione gershwiniana o fanno esplodere gli aspetti novecenteschi: i cambiamenti di metro, i collegamenti armonici arditi, le audacie timbriche. Inoltre, numerosi sono i cenni a Lulu di Berg, che fu composta negli stessi anni del musical di Gershwin (i due compositori erano amici e si stimavano). Più che un pot-pourri, la Suite è quindi una ri- composizione che, spettacolare e teatralissima, invita anche a riflettere sul dialogo fra la matrice jazz di questi immortali standard e il loro legame con la tradizione occidentale.
L’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia è stata la prima in Italia a dedicarsi esclusivamente al repertorio sinfonico, promuovendo prime esecuzioni di capolavori del Novecento. Dal 1908 a oggi ha collaborato con i maggiori musicisti del secolo: è stata diretta, tra gli altri, da Mahler, Debussy, Strauss, Stravinskij, Toscanini, Furtwängler, De Sabata, Karajan, Abbado e Kirill Petrenko. I suoi direttori stabili sono stati Molinari, Ferrara, Previtali, Markevitch, Schippers, Sinopoli, Gatti, Chunge e Sir Antonio Pappano (2005-2023), al quale nell’ottobre 2024 succederà, come nuovo Direttore Musicale, l’inglese Daniel Harding. Dal 1983 al 1990 Leonard Bernstein ne è stato il Presidente Onorario. L’Orchestra e il Coro sono stati ospiti dei maggiori festival: i Proms di Londra, i Festival di Lucerna, delle Notti Bianche di San Pietroburgo, di Salisburgo, e delle più prestigiose sale da concerto, tra cui Philharmonie di Berlino, Musikverein di Vienna, Concertgebouw di Amsterdam, Royal Albert Hall di Londra, Salle Pleyel di Parigi, Teatro alla Scala di Milano, Carnegie Hall di New York. L’intensa attività discografica degli ultimi anni è stata coronata da diversi riconoscimenti e premi internazionali. Tra le ultime incisioni dirette da Antonio Pappano ricordiamo l’Otello di Verdi con Jonas Kaufmann, Cinema con Alexandre Tharaud al pianoforte, Insieme-Opera Duets con Jonas Kaufmann e Ludovic Tézier, la Messa di Gloria di Rossini recentemente premiata agli International Classical Music Awards nella sezione “Choral Music” e la Turandot di Puccini con Sondra Radvanovsky e Jonas Kaufmann (marzo 2023, Warner Classics).
Incarnando la musica con una sensibilità drammatica senza pari, il soprano e direttore d'orchestra Barbara Hannigan è un'artista all'avanguardia nella creazione. La musicista canadese, vincitrice di un Grammy Award, ha dimostrato un profondo impegno nei confronti della musica del nostro tempo e ha eseguito in prima mondiale oltre novanta nuove creazioni. Con una carriera trentennale, Hannigan ha avuto tra i suoi colleghi artistici Reinbert de Leeuw, Pierre Boulez, Sasha Waltz, John Zorn, Krszysztof Warlikowski, Simon Rattle, Katie Mitchell, Henri Dutilleux, Vladimir Jurowski, Gyorgy Ligeti, Kirill Petrenko, George Benjamin, Andreas Kriegenburg e Hans Abrahamsen. È Direttore Principale Ospite della Göteborgs Symfoniker, Première Artiste Invitée dell'Orchestre Philharmonique de Radio France, Artista Associato della London Symphony Orchestra, Direttore Principale Ospite dell'Orchestra da Camera di Losanna (dal 2024/25 in poi) e Reinbert de Leeuw Professor of Music alla Royal Academy of Music di Londra. Con Alpha Classics ha pubblicato sei album, tra cui il suo ultimo disco, Infinite Voyage, nel 2023. L'impegno di Barbara nei confronti delle giovani generazioni di musicisti l'ha portata a creare le iniziative di mentoring Equilibrium Young Artists (2017) e Momentum: our Future Now (2020). Barbara risiede nel Finistère, sulla costa nord-occidentale della Francia, proprio di fronte all'Atlantico, dove è cresciuta a Waverley, in Nuova Scozia.
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Musica da Casa Menotti
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