Un posto luminoso chiamato giorno
Berlino 1932. La casa di Agnes, attrice di mezz’età e scarso successo, è il palcoscenico delle vicende esistenziali di un gruppo di artisti e intellettuali bohemiens, specchio della parte più vivace e progressista della Repubblica di Weimar. Assisteremo alla disgregazione della loro amicizia, e delle loro stesse vite, di fronte all’ascesa del nazismo. L’impotenza nel contrastare il Male che cresce attorno a loro li porterà uno ad uno a compiere l’unica scelta possibile: fuggire. Rimasta sola, Agnes sceglierà l’immobilità come estrema arma di autodifesa, richiudendosi su se stessa nel vano tentativo di difendere il suo posto luminoso dalle tenebre che lo hanno ormai avvolto. A fare da contrappunto a questa narrazione, gli intermezzi di Zillah, operaia americana degli anni ’80, che ci ricorda costantemente come il Male sia sempre in agguato.
In questo testo ho da subito visto un mirabile quanto impietoso affresco delle debolezze intrinseche della democrazia. Attraverso le vicende dei protagonisti infatti, vediamo come uomini e donne di buona volontà, profondamente legati - al di là delle loro appartenenze politiche - a ideali di libertà, di giustizia sociale, di eguaglianza si rivelino incapaci di difendere questi ideali dinnanzi all’avanzata del Male.Queste figure, che definiremmo oggi genuinamente antifasciste, ci mostrano i vari volti dell’ignavia di cui si nutre il fascismo. Dall’azione eccessivamente ideologizzata e dunque inefficace dei militanti comunisti fino alla incapacità di azione del personaggio di Baswald quando si trova in condizione di estirpare (in un certo senso) la radice stessa del Male uccidendo Adolf Hitler, ogni scelta dei nostri protagonisti porta in sé il seme della propria sconfitta senza appello. Né può nulla la libertà individuale, pilastro del sogno americano, contro la quale Kushner ci mette in guardia mostrando come Agnes - la cui casa è perno dell’azione e dell’inazione dei personaggi - resisterà alle conseguenze del nazismo richiudendosi in se stessa fino ad una regressione ad uno stato quasi animale. Per sottolineare la natura a-storica e universale di tale critica, Tony Kushner inserisce poi degli intermezzi, nei quali Zillah, operaia americana della metà degli anni ’80, stigmatizza il sistema politico a lei contemporaneo tacciandolo di fascismo mascherato. Il tempo passa, cambiano i fattori ma la problematica è sempre la stessa: la fragilità intrinseca della democrazia, e la difficoltà da parte di coloro che dovrebbero esserne i difensori a riconoscere i semi del Male. Proprio per questo il valore eterno ed universale del testo di Kushner diviene ancora più lampante oggi, laddove contro gli svariati sintomi di autoritarismo che da varie parti si manifestano non sembriamo capaci che di una blanda e frammentaria opposizione. Dal punto di vista scenico, il perno del nostro lavoro è stata l’idea che la narrazione non sia altro che una proiezione onirica di Agnes, nella quale sia lo spazio scenico che coloro che lo abitano rappresentano invece di essere, e dove la stessa Agnes perde l’unitarietà del suo essere in un continuo sdoppiamento che ritrova la propria unità solo nel finale.Lorenzo d’Amico De Carvalho
di Tony Kushner
traduzione GianMaria Cervo, Francesco Salerno
regia Lorenzo d’Amico De Carvalho
con
Gaia Benassi, Beatrice Presen, Enrica Ajò, Riccardo Sinibaldi, Beniamino Marcone, Veronica Visentin, Ugo Piva, Francesca Antonucci e con la partecipazione di Stefano Viali
costumi Sabrina Beretta
aiuto regia Ugo Bentivegna
disegno luci Lorenzo d’Amico De Carvalho
compagnia teatrale Ekphrasis
in collaborazione con
Centro Sperimentale di Cinematografia - Scuola Nazionale di Cinema
Quartieri dell’Arte - Festival di nuova Drammaturgia
Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”