Per il concerto d’inaugurazione l’Orchestra diretta da Iván Fischer porta nella Piazza del Duomo le melodie danzanti e i colori nitidi della musica francese di inizio ’900.
Il corpo in movimento entra nella musica a partire da Darius Milhaud, che aveva immaginato le danze del Carnevale di Rio per scrivere Le boeuf sur le toit, balletto su testo di Jean Cocteau. La breve Gymnopédie di Erik Satie, nella versione orchestrale di Claude Debussy, porta il titolo di una danza processionale dell’antica Grecia.
Anche le linee melodiche di Maurice Ravel danzano: Shéhérazade per voce e orchestra è seguito da La valse, poema coreografico per orchestra che strizza l’occhio al valzer viennese dal secolo precedente, spingendo il ben noto ritmo ternario in «un turbinio fantastico e fatale».
DIRETTORE
Iván Fischer
SOPRANO
Luciana Mancini
LE BŒUF SUR LE TOIT, OP. 58
Darius Milhaud
SHÉHÉRAZADE
POEMA PER VOCE E ORCHESTRA
Maurice Ravel
GYMNOPÉDIE N. 1
ORCHESTRAZIONE DI CLAUDE DEBUSSY
Erik Satie
LA VALSE
La danza è il filo rosso che unisce i brani di autori francesi del primo Novecento eseguiti in questo concerto. Ma a guardare attentamente si scopre anche un altro filo, più sottile e meno evidente, ma forse più affascinante: è l’esotismo o più esattamente quattro diversi modi di esotismo. L’esotismo di Le boeuf sur le toit è l’esotismo senza fronzoli estetizzanti e fantasie oniriche di un musicista sedotto dai motivi brasiliani ascoltati personalmente per le strade di Rio. L’esotismo di Shéhérazade è il sogno di chi non ha mai visto quei paesi e quelle genti lontane ed è quindi li sogna piegandoli alle proprie fantasie e ai propri desideri, facendo rimare esotismo con erotismo. L’esotismo di Gymnopédie si dispiega non nello spazio ma nel tempo, viaggiando indietro nei millenni fino a portarci nell’antica Sparta: anche questo è puro sogno, senza alcuna velleità di ricreare la realtà storica.
Apparentemente la Vienna de La Valse non ha nulla di esotico, ma per Ravel è esotico anche quel mondo vicino nel tempo e nello spazio, ma ormai spazzato via dalla Grande Guerra e diventato in un miraggio come l’oriente di Shéhérazade.
Una nuova generazione di musicisti francesi si afferma negli anni immediatamente successivi alla Grande Guerra. Hanno dalla loro parte Jean Cocteau, che, ancora molto giovane, è già una figura dominante del panorama artistico parigino. È lui a battezzare come “gruppo dei Sei” quel manipolo di compositori e a scriverne il manifesto artistico, Le Coq et l’Arlequin, che rigetta il simbolismo di Debussy e le sue sonorità preziose, vaporose e indeterminate, a cui contrappone il suono secco ed essenziale di Satie e anche il music-hall, il circo, la musica afro-americana. Cocteau collabora attivamente con quei musicisti di cui si è nominato mentore e guida e un momento clamoroso di tale collaborazione è Le boeuf sur le toit, pensato da Darius Milhaud come una cinéma-fantasie destinata ad accompagnare un film muto di Charlot, ma poi trasformato in un ballet-pantomime su consiglio di Cocteau.
Durante la guerra Milhaud era stato segretario dell’ambasciata francese a Rio de Janeiro e Le boeuf sur le toit è la dimostrazione del suo amore per la musica brasiliana, per i suoi ritmi, i suoi colori, la sua vitalità (il samba, il tango, il maxixe) e anche la sua malinconia (il fado). In una quindicina di minuti o poco più sono citati con la massima libertà e senza alcun piano formale prestabilito una trentina di motivi popolari brasiliani, tra cui la canzone O boi no telhado (Il bue sul tetto), che aveva avuto enorme successo nel carnevale di Rio del 1918 ma che non è il motivo principale, quello che torna più e più volte, come si potrebbe essere portati a credere.
Con un effetto straniante, la coreografia ideata da Cocteau per la prima parigina del balletto nel 1920 accompagnava questa musica così vivace con movimenti lentissimi, come un film al rallentatore. Era di Cocteau anche il surreale soggetto, che vede avvicendarsi in uno strano bar gli avventori più disparati (un bookmaker, un nano, un pugile, una donna vestita da uomo, degli uomini vestiti da donna, un poliziotto che viene decapitato dalle pale di un ventilatore ma resuscita…) interpretati non da ballerini ma da artisti del circo.
Il successo fu tale che poco dopo venne effettivamente aperto a Parigi un bar dal nome Le boeuf sur le toit, che negli Anni Venti fu il punto di ritrovo dell’avanguardia artistica parigina.
Il gusto per l’esotismo affiora più volte nell’opera di Maurice Ravel, che può trovare l’esotismo appena oltre i confini della Francia, in Spagna, o in paesi più lontani, come la Grecia e il Madagascar, o ancora in un oriente indefinito, un mondo di fantasia che non si può rinchiudere in confini geografici precisi. Già nel 1898 aveva pensato ad un’opera ispirata alle Mille e una notte e questa idea rinasce in una nuova veste nel 1903, quando un giovane poeta, che aveva scelto lo pseudonimo wagneriano di Tristan Klingsor, gli legge alcune sue liriche. Ravel subito ne mette in musica tre, intitolandole Shéhérazade. Nella prima, Asie, il narratore sogna di fuggire dalla vita reale e prosaica per immergersi in un continente sconfinato e fantastico, dove non esiste la miseria e trionfano la bellezza e il lusso, inestricabilmente connessi al sangue e alla crudeltà. In La flûte enchantée una schiava, chiusa in casa dal suo padrone, sente il suo innamorato suonare il flauto, lontano, di notte: lo spleen degli amanti separati è inseparabile dal sottile e delicato erotismo. Ne L’indifférent un giovane dagli occhi dolci come quelli di una ragazza non accetta l’invito ad entrare e si allontana salutando con un gesto aggraziato: l’esplicita sensualità del testo si riflette nel languore estenuato della musica. L’eleganza sensuale e preziosa della voce solista di queste tre liriche è moltiplicata dalla raffinata e favolosa tavolozza orchestrale di un mago ineguagliabile della strumentazione quale fu Ravel.
Espulso dal Conservatoire di Parigi perché giudicato privo di talento, Erik Satie è costituzionalmente insofferente all’establishment musicale, per vivere suona il piano nei cabaret, predica la semplicità e la povertà della musica in contrasto con quell’epoca di raffinato estetismo, di orchestre sontuose, di nuove e complesse teorie musicali. È già anziano quando Cocteau lo indica ai giovani del “gruppo dei Sei” come antidoto a Claude Debussy, eppure un tempo Debussy e Cocteau erano stati amici e si erano reciprocamente stimati. Ne è una prova inconfutabile la trascrizione orchestrale che Debussy aveva fatto nel 1897 di due delle tre Gymnopédies per pianoforte composte nel 1888 da Satie, invertendone l’ordine, cosicché la terza Gymnopédie divenne la prima nella sua trascrizione.
Il titolo di questi brevi pezzi rimanda alle feste spartane delle gimnopedie, durante le quali giovinetti nudi eseguivano danze rituali ed esercizi ginnici. Simili tra loro – quasi tre varianti dello stesso ritmo di valzer lento e della stessa semplice struttura – le tre Gymnopédies sono eteree, vaporose, minimaliste (molti decenni dopo John Cage vedrà in Satie un precursore della minimal music) e il loro carattere è sereno ma con un sottofondo di nostalgia e di mistero. Successioni di accordi statici, melodie dal sapore arcaico, ritmo lento e strutture ripetitive, tutto tende a raggiungere uno stato contemplativo che escluda le passioni umane e arresti o almeno rallenti al massimo lo scorrere del tempo.
Al momento di accingersi a comporre La Valse, Ravel pensava ad un balletto che fosse un’apoteosi del valzer, ambientata – dove altrimenti? – nella corte viennese all’epoca di Francesco Giuseppe e degli Strauss. Ma nel 1919, quando mise effettivamente sul pentagramma la sua nuova composizione, la bufera della guerra aveva annientato quel mondo e cancellato definitivamente il sogno della Vienna spensierata e felice, simboleggiata musicalmente dal valzer. Il progetto iniziale prese dunque un’altra direzione e Ravel stesso descrisse La Valse come un «turbinio fantastico e fatale», mettendo in rilievo non tanto l’esaltazione gioiosa del valzer quanto la tensione che sottende questa musica.
Il lato oscuro della Valse è rivelato fin dall’inizio da un fremito sordo che pulsa sotterraneo, creando un senso d’inquietudine. Eppure il tema del valzer, che gradualmente emerge da quello sfondo indistinto, appare leggero, perfino frivolo. Questo tema si afferma, si dissolve, appare di nuovo, sempre meno frizzante e più esacerbato, per raggiungere un culmine parossistico nel finale, quando lo scatenamento orgiastico del ritmo e gli inebrianti colori della virtuosistica tavolozza orchestrale catturano e travolgono l’ascoltatore, ma non possono occultare totalmente il lato inquietante e demoniaco della Valse.
testo di
Mauro Mariani
Iván Fischer realizza il proprio sogno quando fonda la Budapest Festival Orchestra nel 1983 insieme a Zoltán Kocsis. Grazie al suo approccio innovativo alla musica e alla dedizione senza riserve dei suoi musicisti, la BFO è diventata il più giovane ensemble ad entrare nella top ten delle orchestre sinfoniche del mondo. Oltre che a Budapest, l’orchestra si esibisce regolarmente in alcune delle più importanti sedi concertistiche della scena musicale internazionale ed è presente anche sulle piattaforme di streaming internazionali. Dalla sua istituzione, la BFO è stata premiata da “Gramophone”, il prestigioso periodico musicale britannico, per ben tre volte: nel 1998 e nel 2007 la giuria della rivista ha assegnato alla BFO il premio per la migliore registrazione, mentre nel 2022, grazie ai voti del pubblico, è stata nominata Orchestra dell’anno. I successi più importanti della BFO sono legati a Mahler: la registrazione della Sinfonia n. 1 è stata nominata per un Grammy Award. Oltre ai successi discografici e alle acclamate tournée, la BFO si è fatta conoscere a livello internazionale anche grazie una serie di concerti particolarmente originali. Gli Autism-friendly Cocoa Concerts, i Surprise Concerts – apprezzati anche ai Proms di Londra –, le maratone musicali, le Midnight Music performance rivolte ai giovani, i concerti all’aperto a Budapest, le Community Weeks gratuite e il Bridging Europe Festival, organizzato in collaborazione con Müpa Budapest – sono tutti eventi unici a loro modo. Un’altra caratteristica peculiare dell’Orchestra è che i suoi membri cantano regolarmente durante i concerti. Ogni anno la BFO, in collaborazione con la Iván Fischer Opera Company, la Müpa Budapest, il Vicenza Opera Festival e il Festival dei Due Mondi di Spoleto, mette in scena una produzione operistica. Le rappresentazioni sono state invitate al Mostly Mozart Festival di New York, all’Edinburgh International Festival e all’Elbphilharmonie di Amburgo; nel 2013, le Nozze di Figaro sono state al vertice della classifica dei migliori eventi dell’anno di musica classica stilata dal New York Magazine. Il Vicenza Opera Festival, fondato da Iván Fischer, ha debuttato nell’autunno 2018 al Teatro Olimpico.
Direttore d'orchestra, compositore, regista d'opera, pensatore ed educatore, Iván Fischer è considerato uno dei musicisti più visionari del nostro tempo. Il suo obiettivo è sempre la musica e, a tal fine, ha sviluppato diversi nuovi formati di concerto e riformato la struttura e il metodo di lavoro dell'orchestra sinfonica. A metà degli anni Ottanta fonda la Budapest Festival Orchestra e da allora introduce e stabilisce numerose innovazioni. Fischer immagina un insieme di musicisti al servizio della comunità in varie combinazioni e stili musicali. Il suo lavoro come direttore musicale della Budapest Festival Orchestra si è trasformato in una delle più grandi storie di successo musicale degli ultimi 30 anni. Con tournée internazionali e una serie di registrazioni per Philips Classics e Channel Classics, si è guadagnato la reputazione di uno dei più celebri direttori d'orchestra del mondo, per il quale tradizione e innovazione vanno di pari passo. Ha fondato numerosi festival, tra cui il Budapest Mahlerfest, il festival "Bridging Europe" e il Vicenza Opera Festival. Il World Economic Forum gli ha conferito il Crystal Award per i suoi risultati nella promozione delle relazioni culturali internazionali. È stato direttore principale della National Symphony Orchestra di Washington, dell'Opéra National de Lyon e della Konzerthausorchester di Berlino, quest'ultima lo ha nominato Conductor Laureate. La Royal Concertgebouw Orchestra lo ha nominato direttore ospite onorario dopo molti decenni di collaborazione. È spesso direttore ospite dei Berliner Philharmoniker, dell'Orchestra Sinfonica della Radio Bavarese e della New York Philharmonic Orchestra. Iván Fischer ha studiato pianoforte, violino e violoncello a Budapest, prima di unirsi alla classe di direzione di Hans Swarowsky a Vienna. Dopo aver trascorso due anni come assistente di Nikolaus Harnoncourt, ha intrapreso la carriera internazionale come vincitore del concorso di direzione d'orchestra della Rupert Foundation a Londra. Dopo varie apparizioni come ospite in teatri d'opera internazionali, ha fondato la Iván Fischer Opera Company. I suoi allestimenti hanno sempre come obiettivo la fusione tra musica e teatro. Le produzioni dell'IFOC, che spesso uniscono nello spazio strumentisti e cantanti, sono state accolte con grande successo negli ultimi anni a New York, Edimburgo, Abu Dhabi, Berlino, Ginevra e Budapest. Fischer è attivo come compositore dal 2004. La sua opera The Red Heifer ha suscitato grande interesse a livello internazionale; l'opera per bambini The Gruffalo ha avuto numerose riprese a Berlino; la sua opera più frequentemente eseguita, Eine Deutsch-Jiddische Kantate, è stata eseguita in diversi Paesi. Iván Fischer è cittadino onorario di Budapest, fondatore della Hungarian Mahler Society e sostenitore della British Kodály Academy. Il Presidente della Repubblica di Ungheria gli ha conferito la Medaglia d'Oro e il governo francese lo ha onorato come Chevalier des Arts et des Lettres. Nel 2006 è stato insignito dell’Hungarian Kossuth Prize, nel 2011 del Royal Philharmonic Society Music Awarde del Dutch Ovatie Prize e nel 2013 è stato nominato membro onorario della Royal Academy of Music di Londra.
Le apparizioni più recenti del mezzosoprano cileno-svedese Luciana Mancini includono la Messaggera nell'Orfeo di Monteverdi con la Budapest Festival Orchestra e Iván Fischer a Vicenza, Budapest e Ginevra, La Musica/La Messaggera/Proserpina in Orfeo per la Nationale Reisopera, Serse in Serse di Händel al Theater Bonn, Messa in si minore di Bach alla Elbphilharmonie Hamburg con Collegium 1704 e Vaclav Luks, Concerti di Capodanno con la Oslo Philharmonic, Folk Songs di Berio con la Melbourne Symphony Orchestra, Zaida ne Il turco in Italia di Rossini alla De Nationale Opera di Amsterdam, Amastre in Serse di Händel al Theater an der Wien sotto la direzione di Jean-Christophe Spinosi, concerti con l'Ensemble Pygmalion e Raphaël Pichon ai Festival Chaise-Dieu e Sablé, Messiah di Händel con l'Orchestra of the 18th Century e la Melbourne Symphony Orchestra e la Queensland Symphony Orchestra, la Passione secondo Matteo di Bach con la Residentie Orkest, Galatea in Acis di Handel, Galatea e Polifemo all'Händelfestspiele Halle e il ruolo del titolo in Maria de Buenos Aires di Piazzolla al Theatre Bonn (pubblicato su CD da Capriccio). Si è esibita con direttori come René Jacobs, Pablo Heras-Casado, Juanjo Mena, Stefan Soltesz e Leonardo García Alarcon in teatri tra cui Teatro Real di Madrid, Staatsoper di Berlino, Opéra Comique di Parigi, Grand Théâtre de Luxembourg, Festspielhaus Baden-Baden, Drottningholm Festival, Bergen Philharmonic e la Gulbenkian Foundation a Lisbona.
Musicisti della Budapest Festival Orchestra
Musicisti della Budapest Festival Orchestra
Musicisti della Budapest Festival Orchestra
Banda Musicale della Polizia di Stato
Coro dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Marie-Ange Nguci