Yoann Bourgeois
sta nella danza l’anatomia della mia caduta
di Anna Bandettini – Il Venerdì
L’artista, star di social e visualizzazioni con spettacoli che coreografano la sfida alla forza di gravità, torna al Festival dei Due Mondi con il nuovo lavoro Memory of a Fall: «Che fortuna aver frequentato il circo».
Sarà duro resistere alla tremarella, al senso di vertigine ma anche alla meraviglia che questo incredibile artista suscita quando balla su piattaforme girevoli pericolosamente inclinate, o quando cade dai gradini di una scala senza parapetto e subito torna su, come fosse senza gravità. Temerario, concreto, poetico, Yoann Bourgeois, acrobata e coreografo francese, vive la danza come caduta, instabilità, disequilibrio. «Il mio obiettivo è scoprire l'inaudito», dice e così ha conquistato non solo migliaia di follower su Instagram e milioni di visualizzazioni sui social con i lavori Fugue/Trampoline (2008) e Celui qui tombe (2014), ma anche star della moda (Vuitton) e del rock-pop, dai Coldplay a Selena Gomez, Harry Styles che ha fatto ballare in vari video, compreso Marco Mengoni per cui ha firmato l'esibizione dell'Eurovision 2023.
L'ultima creazione di Bourgeois si intitola Memory of a Fall e debutta il 6 luglio in piazza Duomo a Spoleto, dove è già stato ospite negli anni passati sempre al Festival dei Due Mondi. «Questo spettacolo», spiega Yoann, 42anni, accanto alla moglie Marie che è un'artista della compagnia fondata nel 2010, «nasce dall'incontro con la compositrice Hania Rani. Abbiamo avuto uno scambio durante la settimana della moda di Milano lo scorso settembre e ho sentito subito il potenziale estetico che collegava i nostri due mondi. Hania, polacca, è una artista insaziabile, il cui ibridismo estetico è singolare: atemporale, ipnotica, ma con un senso di musicalità che la rende popolare. Per Memory of a fall, canta, usa i pianoforti, l’elettronica, l’acustica per una composizione minimalista alla Steve Reich e Philip Glass, ma con più melodia. È un’esperienza, e io credo che il nostro sia un incontro innanzitutto metafisico.
Lo spettacolo, però, è molto fisico. Di che cosa si tratta?
«Ogni mio lavoro nasce dal dispositivo scenico che ci guida verso nuova fisicità, nuove relazioni tra noi. Qui c'è una imponente struttura orizzontale che ho progettato io come tutte le altre, e che curva e diventa verticale fino a 6 metri di altezza. Da lì i dieci ballerini si lasciano cadere. La coreografia è costruita su questo movimento. Perché? La caduta è direttamente connessa alla gravità che è il dramma dell’universo. La gravità spinge verso l’abisso, ed è un po’ una morte. Il mio lavoro cerca un’alternativa, attraverso quello che io chiamo il punto di sospensione irraggiungibile»
E che cos’è?
Un crocevia, il momento istantaneo, assoluto in cui il peso scompare. È il corpo in cui vibra l'intensità, la qualità della presenza che permette di resistere alla gravità, anche solo per un istante. È un attimo di resistenza alla morte, una piccola finestra aperta sull'eternità che non vuol dire immortalità, perché le piramidi d'Egitto, per esempio, sono eterne ma prima o poi si trasformeranno in polvere. In questo, la mia è una ricerca esistenziale, prima che artistica».
Si allena molto per questo?
«No, non c'è un vero allenamento. lo pratico l'escursionismo. E più che dalla danza sono attratto dagli sport estremi».
Le sue radici sono nell’arte circense?
«Sono stato, credo, l’unico studente a frequentare contemporaneamente la scuola di circo e quella di danza. Il mio rapporto con il circo è una lunga storia. Quando ero bambino i miei genitori si separarono e vendettero la casa a Le Cirque Plume, il gruppo che ha dato vita al Nouveau Cirque. Da lì, il circo è stato forse un modo per non perdere il bambino che ero, per mettere il gioco al centro della mia vita. Il circo mi ha fatto capire che tutte le discipline contribuiscono all’arte senza nome, che è la più bella di tutte: l’arte di vivere».
Si è ispirato a qualcuno per questa “filosofia” artistica?
«Il mio primo riferimento è il meraviglioso stupore della contemplazione della natura. Le montagne, e quando dico montagne intendo la loro sproporzione. Vivo tra i picchi del massiccio della Chartreuse, nelle Alpi francesi e lì hai la sensazione che tutto ciò che ci circonda non sia a misura d’uomo, sia uno spazio inaudito. È poesia che ti aiuta a respirare.»
E i social che posto hanno in questa poesia?
«Io frequento solo Instagram come un piccolo laboratorio per sperimentare coi video. So di avere tanti follower: io non li cerco, ma con l'artificializzazione della realtà, le persone vogliono riconnettersi alle proprie sensazioni. E il nostro lavoro spero produca questo».
È così anche per la musica? Come è andata con Mengoni?
«Non volevo che il mio lavoro restasse in una piccola scatola. E il rock ha un pubblico ampio e di giovani. Sono stato cercato da vari musicisti, anche da Marco che è una persona davvero appassionata, desideroso di esibirsi e di comunicare».
Anche lei sembra avere questa stessa passione.
«Io vedo che il mondo cambia velocemente e voglio fare la mia parte, con passione. Bisogna dare risposte alla nostra irresponsabilità verso l'ambiente e l'arte che trasforma gli immaginari, è un primo passo per cambiare. Quando si parla di questioni ecologiche, spesso lo si fa in un'ottica solo restrittiva. Io penso che per cambiare, dovremmo, senza avere paura di usare questa parola, sacralizzare il nostro rapporto con la natura e con l'umanità. È quello che voglio dire col mio lavoro».