L’intelligenza artificiale è solo un “collaboratore” io poi rifinisco
Noi artisti non saremo mai inutili
Intervista di Anna Benedettini – La Repubblica
La realtà è qua, lui su un altro pianeta in cui vivono avatar e droni, si balla con gli algoritmi e l'intelligenza artificiale, si studiano neuroscienze, fisica e astrofisica.
Wayne McGregor è il vulcanico coreografo di fama internazionale che da oltre trent'anni esplora con successo le nuove frontiere delle tecnologie nella danza. Inglese, 54 anni, sorriso da bravo ragazzo, insignito del titolo di “Commander” dell’Impero britannico, è un maestro e un pioniere. Su questa doppia linea ha creato successi al Royal Ballet, alla Scala, al Met (il 26 approda Woolf works, il suo cult con Alessandra Ferri), sperimentazioni con star del rock dai Radiohead a Jon Hopkin, ha collaborato col cinema per Harry Potter e il calice di fuoco e coreografato i quattro avatar del leggendario Abba Voyage show. Un visionario convinto che le nuove tecnologie siano una riserva di innovazione per la danza. In che modo, lo si vedrà le prossime settimane: al 67esimo Festival dei Due Mondi di Spoleto che si apre il 28 dove McGregor, dal 12 al 14 luglio, debutta con Deepstaria, nuova creazione con i suoi danzatori, teste fini delle tecnologie musicali e IA; poi dal 18 luglio al 3 agosto al Festival di danza della Biennale di Venezia che dirige da 4 anni e dove tanti auspicano una riconferma.
Mr. McGregor, “Deepstaria” è il nome di una medusa, Che c’entra col suo spettacolo?
«È una creatura bella, che cambia forma, vive nelle profondità del mare e si autogenera. Mi ha evocato il tema dell'immortalità in modo poetico, con risonanze alle profondità abissali del mare e a quelle siderali dello spazio. Non a caso il palcoscenico sarà un vero buco nero grazie a una tecnologia straordinaria, il Vantablack, che crea il nero più nero al mondo. Lì si danzerà su suoni speciali. Nicholas Becker, rumorista e premio Oscar, e il produttore musicale Lexx hanno ideato e usato Bronze, un sistema di intelligenza artificiale di composizione sonora; la cosa geniale è che produce suoni registrati che si adattano alla situazione live, quindi cambiano a ogni rappresentazione, anche i danzatori devono a loro volta modificare i movimenti. Questo tiene la loro sensibilità fisica vigile, vivda. Il che significa che grazie all’IA siamo tornati all’essenza più pura del rapporta tra musica e danza. Coi ballerini abbiamo sperimentato anche un sistema di intelligenza artificiale con Google, che consente di provare nuove opzioni di brani di danza, rinnovando le possibilità di movimento».
Non le fa paura tutta questa scienza?
Perché? In scena si vedono corpi, si spera molto belli, che fanno movimenti, si spera meravigliosi con una musica primordiale. Che importanza ha se a crearla è l'IA? Ciò che conta è che ci sia la mano umana. L'IA è solo un collaboratore "aumentato": sono io che poi rifinisco. Noi artisti non saremo mai inutili, non bisogna essere catastrofisti. È legittimo aprire un dibattito etico per combattere contro il far west, non contro le tecnologie. Google o un cellulare, un pacemaker o un robot che pulisce il sangue sono forme di IA che hanno migliorato la vita. È insegno umano».
E gli artisti che ruolo hanno?
«Il potenziale dell'IA può estendere la loro creatività, inventare nuovi linguaggi. Pensi ai balli su TikTok e Instagram. 0 a Leonardo con le sue macchine volanti in scena. Fare arte significa esplorare possibilità».
È vero che Deepstaria avrà un seguito ancora più tecnologico?
«Sì, nel 2025, On the other Earth: il pubblico sarà immerso in questo incredibile "Future cinema" di Jeffrey Shaw, il primo schermo post-cinematografico interattivo, 60 metri, 360 Led, realtà aumentata, 3D, tecnologia tattile, e dove puoi sperimentare la danza in un altro modo».
L'IA è anche nella coreografia che sta preparando alla Biennale di Venezia. Di cosa si tratta?
«Stiamo lavorando con i miei danzatori e sedici fantastici allievi di Biennale College in un luogo speciale, la sala grande del Palazzo del Cinema al Lido senza le poltrone e su un grande palco. Mi sono ispirato al primo film visto alla Mostra negli anni Trenta, Il dottor Jekyll, in cui il regista usava una tecnica innovativa per i filtri di colore del make up».
Ancora tecnologia. Eppure il titolo del festival è “We human”, noi umani.
«È un promemoria in questo momento di tumulti politici. Ci tenevo a mostrare che l'umanità è sempre una, anche se ha modi diversi di agire e cooperare. Tutti gli artisti mostrano umanità nelle pratiche, nelle collaborazioni, nelle sperimentazioni come il Leone d'oro Cristina Caprioli o nell'emozione come quello d'argento Trajal Harrell. Quanto all'IA, per spiegare cosa voglio dire, ci sarà un film incredibile, De humani corporis fabrica: un viaggio nel corpo umano, in cui ne vedi la delicatezza e la straordinaria tecnologia. L'umanità è questa: fragilità e ingegno».