Friedemann Vogel
Prendo forza dalla fragilità: Friedemann Vogel
“Un infortunio anni fa mi ha reso più consapevole e più motivato” spiega il ballerino tedesco, una delle massime étoile del XXI secolo, che al Festival di Spoleto farà riflettere su corpo & intelligenza artificiale. E qui si racconta, fin dalla prima spaccata all’asilo
Di Maria Laura Giovagnini per iO Donna
«Un ballerino è un artista completo o uno strumento del coreografo? Cosa esprime attraverso il corpo? Quale margine di libertà ha?» Friedemann Vogel - una delle massime étoile del XXI secolo, principal dancer del glorioso Balletto di Stoccarda - offre la risposta da par suo: con uno spettacolo. Die Seele am Fa-den/Soul Threads (I fili dell'anima), una creazione realizzata con l'artista visivo Thomas Lempertz, debutterà il 5 luglio al Festival dei Due Mondi di Spoleto. L'ispirazione arriva da Il teatro delle marionette di Heinrich von Kleist, dove due personaggi si confrontano sul tema: è superiore un danzatore, umano e quindi soggetto a sbagli, o un burattino, che non ha limitazioni fisiche?
Von Kleist pare concludere a favore del burattino. E lei?
No! Meglio lasciar parlare i propri sentimenti, il proprio cuore, la propria anima. La riprova di quanto sia determinante la soggettività? Ogni Lago dei cigni è diverso a seconda dei protagonisti. Il testo, comunque, pur essendo del 1806, si rivela attualissimo a causa dell'Intelligenza Artificiale. Sarà un assólo, però verranno proiettati video in cui la mia immagine è stata scannerizzata e trasformata in una specie di pupazzo o avatar, che compie movimenti assurdi. Cosa preferirà il pubblico? II Friedemann Vogel vero o quello stupefacente ma virtuale?
Risposta facile oggi che il trend è sottolineare la forza della fragilità, la bellezza dell'imperfezione.
"Perfezione" è vedere la realtà. Quindi sia l'ideale, la leggerezza, sia la bruttezza, la pesantezza... La vita è così, non costantemente facile e piacevole, in particolare durante questo periodo storico. Scopo della danza non è l'intrattenimento: deve trasmettere qualcosa e, se trasmette qualcosa di autentico, non può essere al 100 per cento Bellezza.
Allora la classica non sarà un po' vecchio stile per i tempi, compreso dal punto di vista del gender?
C’è spazio per tutto. La nostra generazione sta lottando per la fluidità, non possiamo metterci a separare troppo le cose!
Non voglio essere definito "un ballerino classico": sono orgoglioso di essere stato formato classicamente, ma posso fare molto di più. Come capita nelle coreografie contemporanee: Wayne McGregor, per esempio (nel 2005 con Eden/Eden, ndr), inserendo me nelle creazioni, ha creato qualcosa di nuovo. L'arte - che è un collante sociale - deve evolversi, non va tenuta in un museo. Per quanto, a volte, si rimanga impressionati constatando quanto in realtà sia moderno Nijinskij (della mitica compagnia dei Balletti russi, fondata nel 1911, ndr).
Nei decenni è cambiato il peso degli uomini.
Sì, sicuramente: Nureyev ha innescato una rivoluzione.
Ora non sono più semplici porteur chiamati a far rifulgere la ballerina. Si sono emancipati. C'è un dialogo.
Lei come si avvicinò a questa disciplina?
In modo naturale. Mio fratello era un ballerino e io, fin da piccino, sapevo di volerlo seguire: a tre-quattro anni stavo già provando la spaccata! Per i miei genitori era normale, avendo il figlio maggiore intrapreso questa strada.
Viene da una famiglia d'artisti?
No, affatto, però ognuno di noi cinque fratelli ha a che vedere con le arti: due musicisti, due ballerini e un direttore di teatro, a Francoforte.
Malgrado i riconoscimenti internazionali e il successo, ha deciso di rimanere a Stoccarda. Co-
me mai?
Ho una casa, e avere una base è importante pure per il mio lavoro. E poi, se fossi un free lance, dovrei selezionare i ruoli maggiori mentre è fondamentale cimentarsi con pezzi piccoli, sentirsi parte di un gruppo. I ballerini principal possono essere bravi quanto vogliono, ma alla fine - se nel team non c’è connessione - il risultato non è buono.
Le sue parole-chiave?
Di sicuro amore, passione. E "presenza consapevole": di rado penso al "dopo", la nostra forma d'arte è così fragile che non sai mai quando finirà. A 44 anni non posso pianificare troppo, ma in passato era altrettanto velleitario: siamo così dipendenti dai nostri corpi che dobbiamo assolutamente goderci il momento, basta un piccolo infortunio per fermarci.
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