IL TREDICESIMO PUNTO
Raramente figurano personaggi politici nella drammaturgia teatrale italiana. Sergio Claudio Perroni ha invece scelto la politica e le sue voci come tema della propria creazione, componendo due atti unici che hanno come filo comune la figura di Nilde Iotti. Operazione singolare e per certi versi audace. Se c′è infatti oggi un ambito che appare usurato, addirittura inascoltabile, è proprio quello della politica e delle sue vociferazioni. E questo avviene perché, al pari dei suoi protagonisti, il piano d′ascolto della politica in Italia è sempre lo stesso. Ma vediamo come riesce a variarlo l′autore del Tredicesimo punto.
Nel primo atto, Perroni ci lascia ascoltare la voce di Nilde Iotti, il cui racconto in prima persona ci consegna il fantasma di una biografia esemplare, dove vita e politica sembrano illusoriamente coincidere, persino troppo.
Nel secondo atto, il segretario di un grande partito (d′opposizione) e i suoi collaboratori più stretti dialogano nel camerino di uno studio TV e litigano (ma il segretario rimane eloquentemente muto per tutta la durata della pièce) sul tredicesimo punto di una scaletta predisposta per il faccia a faccia del leader con il capo della fazione opposta, attualmente al governo. A un certo punto nella pièce irrompe la donna che deve truccare il segretario per la trasmissione. È una donna del popolo, arguta, sensuale, e, in breve, col suo carisma mimetico, sarà lei a divenire l′arbitro della contesa in corso tra i politicanti (il tema è se sia opportuno citare la Iotti, come prevede il tredicesimo punto della scaletta, riportando a galla un ingombrante fantasma del passato ormai da tutti dimenticato) imponendo loro il proprio punto di vista, il proprio orientamento. La sua voce progressivamente si mischierà con quella dei politici al punto di confondervisi, sino alla sorpresa finale, che è bene non svelare per lasciare allo spettatore il piacere di scoprirla.
Nei due testi si fronteggiano dunque l′aureo periodo della politica come lotta per l′affermazione della democrazia italiana, il ruolo delle donne e le conquiste civili per loro perseguite dalla Iotti, e dall′altra la vociferazione inconcludente e velleitaria, la paralisi impotente, la vacuità e lo stallo del politichese attuale. Ma ci sono altri sfondi importanti che il testo di Perroni riesce a smuovere, da quello dello scarto tra una iperbolica razionalità (un eccesso di controllo) e il desiderio (non detto) di riconoscere anche nello spazio politico cittadinanza all′imprevedibile, cioè alla deriva sentimentale, affidato alla voce solenne della Iotti che rievoca la propria vita, a quello, ineffabile, del rito di rigenerazione della politica odierna e della sua illusione di comprarsi un′anima indossando nuove maschere.
Col distacco scettico dei rabdomanti, Perroni si è messo per noi in ascolto di voci presenti e lontane, voci di vivi che sembrano morti, e voci di morti che sembrano vive. Voci che inseguono l′anima in bilico della politica in Italia. In bilico tra l′anima e la forma, tra la vita e la morte, tra il Pantheon e la suburra.
Roberto Andò
novità assoluta
di Sergio Claudio Perroni
regia Roberto Andò
scene e costumi Giovanni Carluccio
musiche Marco Betta
con Michela CesconGiovanni Argante, Ruggero Cara, Fulvio D´Angelo, Pietro Montandon
produzione Teatro Stabile di Catania
Accademia Nazionale d′Arte Drammatica "Silvio D′Amico"