Antonio Latella, regista campano di fama europea, artista caparbio e sognatore, è da sempre attento alla trasmissione e innovazione dei saperi della scena, un metteur en scène che nel suo percorso artistico ha sempre lavorato con la voglia di cercare, cambiare, sperimentare. Con questo spirito a Spoleto66 Latella guida i giovani dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico nella messa in scena di Il Male Sacro del commediografo e regista umbro Massimo Binazzi.
«Il Male sacro, quello che gli antichi definivano tale» – dice Latella – «è quell’epilessia che assale il corpo e lo scuote, ma anche quell’epilessia che assale la terra e la scuote, la fa tremare, la annienta portandosi via civiltà e inciviltà. Quell’epilessia che ci rimette a contatto con una lingua violentata, quella di Binazzi».
Lo spettacolo, diviso in quattro quadri, è un’immersione in stili di narrazione completamente diversi: quattro linguaggi teatrali rievocati come miraggi allucinati di una mente-deserto che innalza il proprio male al sacro.
Gli attori allievi inseguono in coro un pifferaio magico, che in groppa ad un cavallo rubato al governo preferisce andare verso il mare piuttosto che verso la terra ferma. La terra trema… la penisola laica che tutti anelavano resta un miraggio di chi non ha voluto genuflettersi alla religione dei governanti, figli di un Dio minore, la cui madre si è fatta corruzione e mafia.
«Pregare non ci salverà, se la preghiera ci rende servi del potere e mai oppositori».
di Massimo Binazzi
regia Antonio Latella
con Ilaria Arnone, Jacopo Carta, Vanda Colecchia, Eny Cassia Corvo, Leonardo Della Bianca, Chiara Di Lullo, Leonardo Di Pasquale, Luca Ingravalle, Fabiola Leone, Paolo Madonna, Federico Nardoni, Fausto Stefano Mario Peppe, Maria Vittoria Perillo, Domenico Pincerno, Michele Scarcella, Maria Grazia Trombino, Teresa Vigilante
assistente alla regia Consuelo Bartolucci, Fabio Faliero, Enrico Torzillo
supervisione all'allestimento scenografico Graziella Pepe
ripresa della scenografia dello spettacolo In cerca d'autore diretto da Luca Ronconi di Bruno Buonincontri
costumi Graziella Pepe
movimenti e supervisione alle coreografie Francesco Manetti
coreografie Luca Ingravalle, Fabiola Leone
luci Simone De Angelis
consulenza al progetto sonoro Franco Visioli
Mara (official sound track Il Male Sacro) di Meta & Upnea
organizzazione Brunella Giolivo
video Lucio Fiorentino
costume della Madonna realizzato da Annelisa Zaccheria per Eduardo II regia Antonio Latella
produzione Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico, Spoleto Festival dei Due Mondi
collaborazione per la Stagione 2023/2024 Teatro Stabile dell’Umbria
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DATE E ORARI
7 LUGLIO
Prima parte
I atto
dalle ore 15.00 alle ore 16.50
Pausa 15 minuti
II atto
dalle ore 17.05 alle ore 18.40
Seconda parte
III atto
dalle ore 21.00 alle ore 21.50
Pausa 15 minuti
IV atto
dalle ore 22.05 alle ore 23.30
8 LUGLIO
Prima parte
I atto
dalle ore 15.00 alle ore 16.50
Pausa 15 minuti
II atto
dalle ore 17.05 alle ore 18.40
9 LUGLIO
Seconda parte
III atto
dalle ore 14.00 alle ore14.50
Pausa 15 minuti
IV atto
dalle ore 15.05 alle ore 16.30
Testo di Laura Zangarini
La più antica citazione dell’epilessia si ritrova in un testo di medicina babilonese conservato al British Museum di Londra. Vi sono descritti la malattia e i vari tipi di crisi, associando ad ognuno di essi il nome di uno spirito o di un dio. Etimologicamente il termine «epilessia» deriva dal verbo greco epilambano, che significa «cogliere di sorpresa» con evidente riferimento all’inspiegabilità e all’imprevedibilità delle sue manifestazioni: perdita di coscienza improvvisa, irrigidimento del corpo, arresto del respiro, cianosi, bava alla bocca. Caratteristiche per le quali l’epilessia, fino a epoche recenti, è stata considerata come un «morbo sacro».
Di accessi epilettici è interamente sparso Il Male Sacro di Massimo Binazzi (1922 – 1983), commediografo e regista teatrale umbro, nella cui opera si è imbattuto Antonio Latella, regista, drammaturgo e pedagogo di fama europea, artista caparbio e sognatore, scelta come saggio del terzo anno di recitazione del Diploma accademico di primo Livello dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico. Lo spettacolo debutta in prima nazionale nell’ambito del 66° Festival dei Due Mondi di Spoleto (Teatrino delle Sei, 7 – 9 luglio).
Dopo un anno di assenza volontaria dalle scene, racconta il regista classe 1967, «la mia idea era di tornare a lavorare per un periodo sugli italiani, dai più famosi ai meno conosciuti, sia in ambito istituzionale che pedagogico, come quello dell’Accademia. Ho incontrato Il Male Sacro molti anni fa nella biblioteca dello Stabile dell’Umbria, da cui ero stato chiamato per lavorare alla “Tempesta” di Shakespeare (2003/2004). Mi folgorò. L’ho tenuto a lungo nel cassetto, le volte che ho provato a proporre il progetto veniva respinto. Binazzi è un drammaturgo ingiustamente dimenticato, quasi sconosciuto. La sua è una scrittura febbrile, densa, a tratti barocca, che chiama i grandi autori italiani. Un commediografo fuori dai circuiti di quel periodo, quindi probabilmente senza sostegno dei teatri o della critica».
Nata da una lunga e appassionata permanenza di Binazzi in Calabria, l’opera venne annunciata in un cartellone del Piccolo Teatro di Milano che poi vi rinunciò. Ambientata tra lo Ionio e la montagna, ci conduce a casa della famiglia Morace: il capofamiglia Pietro, la moglie Kyria, le figlie Xenio, Rosaria e Mara, il figlio Alex. Ma a «folgorare» Latella, spiega lo stesso regista, «è stata la scrittura particolare di Binazzi, che a me ricorda Gabriel García Márquez e i suoi universi magici. Benché i Morace siano calabresi, Il Male Sacro riscrive in qualche modo una tragedia greca, che riconduce al tema a me caro degli Atridi: un padre-Agamennone (Pietro), una moglie straniera (Kyria è greca, viene da Creta, il cui solo nome, scrive nella prefazione del libro lo scrittore e critico letterario Ruggero Jacobbi “porta (…) come un vento di stregonesca libertà”), una figlia che ricorda Elettra (Mara), il figlio un Oreste sacrificato. Una ellenica Calabria in cui si affaccia prima il fascismo e poi la Seconda guerra mondiale, dove tutto inizia dalla fine e viene ricordato».
Latella definisce Il Male Sacro un testo «ermafrodito» (ricorda Mara alla serva Coronata nelle battute iniziali del primo dei quattro atti dell’opera: «Nel principio Dio creò i cieli, e Dioniso la terra. Dioniso creò la Calabria a sua immagine: femmina e maschio…»). «Lo ritengo un testo ermafrodito – chiarisce il regista – perché non ha un’identità maschile o femminile ma possiede sia i genitali maschili che femminili, racchiudendo quindi in sé la possibilità di essere tutto. Un aspetto affascinante, che mi permette di attraversare con i miei giovani attori tutti i linguaggi teatrali. Di viaggiare, attraverso i ricordi filtrati dall’epilessia dei protagonisti, in un testo fortemente allucinato. Il “male sacro” – prosegue Latella –, è anche il male oscuro di un sud Italia malato e corrotto, un morbo che assale la terra e la scuote, la fa tremare, la annienta portandosi via civiltà e inciviltà».
Nel finale, scrive Jacobbi, «tutto è stato detto, tutto è accaduto. Kyria uccide Pietro, e Mara induce – nel “male sacro” – Alex a uccidere la madre, che giace con l’amante. Morranno ambedue, Elettra e Oreste in un solo corpo». «Mi onora – riflette Latella – che un testo così complesso, stratificato, sia entrato a far parte del cartellone del Festival di Spoleto, dove curo anche il tutoraggio di due giovani registi, vincitori ex aequo del Premio Camilleri, Marco Corsucci (che metterà in scena “Il supermaschio”) e Diego Parlanti (“Parole Morte Comunque”), che pure vedremo all’opera nel corso della rassegna».
Parlando dei «suoi» ragazzi, Latella sottolinea come «in quest’Italia che ciarla in modo persino patetico di natura e di diritti, affronto un lavoro importante con la generazione del “fluido”, giovani che rivendicano la libertà di essere ciò che sono, come vogliono, che rifiutano stereotipi o categorie. Una conquista inimmaginabile per quelli della mia generazione. Affrontare con loro il tema dell’epilessia significa la possibilità di essere libero di esplorare, di andare in zone “altre”; di non vedere il morbo solo come un “male”: nell’antichità l’epilettico era un santo».
Da un punto di vista pedagogico, prosegue il regista, «la “creazione” è qualcosa per me di totalmente libero – per questo parlo de Il Male Sacro come di un testo ermafrodito, della possibilità di essere tutto. Binazzi veniva da una famiglia molto cattolica, lui stesso era profondamente credente: fece molta fatica ad accettare la sua omosessualità, a dichiararsi. A differenza di intellettuali “esposti” come Pier Paolo Pasolini (1922 – 1975) e Giovanni Testori (1923 – 1993), non riuscì a fare della sua omosessualità una forza creativa, e questo nel testo si sente molto».
Il Male Sacro tratta anche il tabù dell’incesto, che rende la famiglia «infeconda». Nel quadro notturno in camera da letto, Binazzi descrive «un marito e una moglie legati solo dal sesso, e poi divisi da un odio che si sublima in predilezioni per i figli» (Jacobbi). «Il padre nutre un sentimento incestuoso per Xenio, ma è attratto anche dal figlio – precisa Latella –. All’origine c’è la sua mancata identità: una madre zingara, che odiava gli uomini, probabilmente lesbica, che dopo la nascita del bambino, frutto di una violenza, si impicca. Il padre lo riconoscerà perché preso da un terrore superstizioso, più che da rimorso, che la morta si vendicasse. Dunque Pietro non ha mai avuto la madre. Un male oscuro è all’origine della famiglia Morace».
Nella messinscena di questo dramma ferino, arcaico, i giovani attori (diciassette) «indossano tutti un tutù – spiega Latella –, come se si trovassero in un luogo circense. Lo spettacolo, diviso in quattro quadri, è una immersione in stili di narrazione tutti diversi. Attraversare una lingua evocativa e piena di mistero come quella di Binazzi significa consegnare ad ogni allievo una materia da plasmare perché venga abitata dall’essere loro stessi materia viva».
Regista, drammaturgo e pedagogo di fama europea, vive a Berlino dal 2004. Studia recitazione presso la scuola del Teatro Stabile di Torino diretta da Franco Passatore e la Bottega Teatrale di Firenze fondata da Vittorio Gassman. Ma è il lavoro di regista, che inizia nel 1998, a conferirgli fama nazionale ed europea, portando i suoi spettacoli nei massimi teatri e festival internazionali. La sua carriera da regista gli conferisce innumerevoli premi tra cui: nel 2001 il Premio Ubu per il Progetto Shakespeare e oltre; nel 2005 il Premio Nazionale dell’Associazione Critici di Teatro per La cena de le ceneri, miglior spettacolo dell’anno; nel 2007 il Premio Ubu per Studio su Medea miglior spettacolo dell’anno; nel 2012 il Premio Hystrio alla regia; sempre nel 2012 il Premio Ubu per la miglior regia per Un tram che si chiama desiderio; nel 2013 il Premio Ubu per la miglior regia con Francamente me ne infischio; nel 2014 è finalista del Nestroy Prize di Vienna per Die Wohlgesinnten; nel 2015 vince il Premio le Maschere del Teatro per Natale in casa Cupiello; nel 2016 il Premio Ubu per Santa Estasi, miglior spettacolo dell’anno; nel 2019 il Premio Ubu per Aminta; nel 2021 il Premio Ubu per Hamlet, spettacolo dell’anno. È il primo regista di formazione italiana e autore ad essere selezionato per il Theatertreffen del Berliner Festspiele, selezione dei dieci migliori spettacoli di lingua tedesca nel 2020. Nel 2011 fonda la sua compagnia “stabilemobile”. La Biennale di Venezia presieduta da Paolo Baratta lo ha nominato direttore del settore Teatro per il quadriennio 2017/2020. Dal 2010 è docente e pedagogo presso le più importanti Scuole di Teatro italiane: Accademia d’Arte Drammatica Silvio d’Amico di Roma, Teatro Stabile di Torino, Piccolo Teatro di Milano, Scuola Civica Paolo Grassi di Milano.
Carlo Cecchi
Accademia Nazionale d'Arte Drammatica Silvio d'Amico
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