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Carlo Cecchi

Sarto per signora

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dal 24 al 28 giugno
durata 60 minuti
Teatro

Sinossi

Carlo Cecchi, uno dei grandi del teatro italiano, torna all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” a dirigere gli allievi in uno spettacolo della Compagnia dell’Accademia, Sarto per signora di Georges Feydeau. Il dottor Moulineaux, protagonista di questo esilarante vaudeville, cela la sua infedeltà in un susseguirsi di equivoci. In una irresistibile frenesia scenica, i personaggi fanno il loro ingresso – fra colpi di scena, sotterfugi e bugie – rivelando il vuoto di valori di una società fondata solo sull’apparenza.

Crediti

Programma

di Georges Feydeau

regia Carlo Cecchi

con Anna Bisciari, Lorenzo Ciambrelli, Doriana Costanzo, Marco Fanizzi, Vincenzo Grassi, Ilaria Martinelli, Sofia Panizzi, Marco Selvatico

regista assistente Danilo Capezzani

costumi Maria Sabato

luci Camilla Piccioni

elementi di scena Laura Giannisi

assistente alla regia Andrea Lucchetta

assistente ai costumi Flavia Andreozzi

direttore di scena Camilla Piccioni

macchinista Lorenzo Collalti

sarta di scena Maria Giovanna Spedicati

foto di scena Manuela Giusto

produzione Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio D'Amico"

___

Prima assoluta

Programma di Sala

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Carlo Cecchi: Feydeau per giovani attori

Testo di Massimo Marino

Sarto per signora (1886) è il primo grande successo di Georges Feydeau (1862-1921) ed è il modello del suo implacabile teatro comico in tre atti. Implacabile perché crea congegni a orologeria che, una volta avviati nelle premesse del primo atto, non possono che avanzare automaticamente, travolgendo i personaggi nei loro garbugli nel secondo tempo, fino allo scioglimento affidato all’episodio finale. C’è in questo autore, vissuto nella Terza Repubblica francese, qualcosa di antico e di assolutamente consustanziale ai suoi tempi. Antica è la macchina delle situazioni comiche, che non possono non precipitare in un’esponenziale serie di equivoci, di scambi di persona, di qui pro quo, innescata dall’urgere del desiderio sessuale, soddisfatto, in un’ipocrita società perbenista, con la menzogna dei sotterfugi amorosi. Modernissima – Belle Époque – è la voglia di ridere di tutto, nonostante tutto, di vivere per dimenticare i morti della Guerra franco-prussiana, le file dei cadaveri della repressione della Comune di Parigi, di celebrare la nuova ricchezza di una borghesia sazia e arrivata che tiene a bada la noia della vita professionale e dell’accumulo di danaro dandosi al bel tempo con il teatro, il café-chantant, con le tresche amorose. Che balla in quel Titanic che sta per scontrarsi con l’iceberg della Grande guerra.

Se leggete una commedia di Feydeau siete colpiti innanzitutto dalla dettagliatissima didascalia che precede ogni atto: assegna a ogni elemento e oggetto di scena un posto, dividendo il palcoscenico in zone contrassegnate da numeri, infarcendo le stanze di porte che rimandano in altri ambienti per permettere ogni genere di inaspettate apparizioni e di repentine, opportune, sparizioni. In Feydeau notiamo uno spirito modernissimo, che fa proprie le conquiste di quella che sarà la nuova arte teatrale del Novecento, la regia, la predisposizione degli attori in un piano demiurgico di senso, di significato, organizzato da un padrone assoluto della scena che governa e disciplina gli estri creativi degli interpreti. La macchina prima di tutto.

Sarto per signora inizia nella casa del dottor Molineaux, si sviluppa in un appartamento che il protagonista prende in affitto per incontrare la sua amante, una ex sartoria, e si conclude, con il chiarimento degli equivoci, nel luogo del primo atto.

All’inizio la stanza da letto del dottore, che dorme separato dalla moglie, si scopre intonsa. Il protagonista è rimasto fuori di casa, dopo il tentativo, fallito, di incontrare l’amante, la signora Aubin, all’Opéra. Trascinato da amici ha fatto tardi; tornato a casa si è accorto di non avere le chiavi e perciò si è aggiustato a dormire sul pianerottolo. Quando la moglie scopre l’assenza notturna iniziano i guai, moltiplicati dall’arrivo di sua madre, la suocera di Moulineaux, di un amico, Bassinet, che vorrebbe affittare al dottore suoi locali rimasti sfitti, dalla visita dell’amante e dal sopraggiungere del marito di questa, cui si fa credere che Bassinet sia il dottore. Sono i presupposti per un precipitare nel caos degli equivoci nel secondo atto, aggravati dal fatto che la porta dell’atelier da sarto affittata è stata scardinata da Bassinet per rientrare in possesso dell’appartamento: chiunque può quindi accedervi e bisogna continuare il vorticoso gioco delle menzogne per evitare di portare alla luce le tresche. L’ultimo atto faticosamente rimette tutto a posto: le identità riprendono la loro inconsistente consistenza, chiarendo i ruoli perché (possibilmente) nulla cambi.

Cosa diventa tutto questo nelle mani di Carlo Cecchi regista? Cecchi è un notorio eversore del teatro noioso, prevedibile, diciamolo pure del teatro di regia, che attribuisce agli attori confini invalicabili, che riduce le variabili infinite della relazione scenica a piani preordinati. Nella sua carriera ha percorso la tragedia, Woyzeck e Finale di partita di Beckett, la farsa di Petito e quella di Eduardo (resta ancora negli occhi il suo disincantato, desolato Sik-Sik, l’artefice magico). Ha incarnato la comicità corrosiva di Molière e i deragliamenti dalla quotidianità di Harold Pinter e di Thomas Bernhard; ha viaggiato nelle molteplicità di Shakespeare, ripopolando con Amleto, Misura per misura e Sogno di una notte di mezza estate uno spazio teatrale affascinante e distrutto come il teatro Garibaldi alla Kalsa di Palermo. Ha portato in scena la sua grande amica Elsa Morante, ancora Shakespeare e Pirandello, un disincantato Enrico IV e altro con Marche Teatro.

Come regista è stato sempre prima di tutto attore e maestro di attori (quanti suoi “allievi” popolano le scene di oggi, da Alfonso Santagata e Claudio Morganti ad Arturo Cirillo, Scimone e Sframeli, Valerio Binasco, Iaia Forte e potrei continuare). Per cui è di grande interesse questo Sarto per signora con i giovani attori diplomati all’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico: Anna Bisciari, Lorenzo Ciambrelli, Doriana Costanzo, Marco Fanizzi, Vincenzo Grassi, Ilaria Martinelli, Sofia Panizzi, Marco Selvatico.

Danilo Capezzani, regista assistente, diplomato ai corsi di regia della stessa Accademia, l’anno scorso a Spoleto con un suo Riccardo II, ci aiuta a ricostruire un lavoro lungo, iniziato dalle classiche prove a tavolino, prima di analisi approfondita del testo, poi di prima interpretazione delle battute. La fase successiva è stata quella di mettere “in piedi” l’opera, con un montaggio durato più di quaranta giorni. «Carlo – ci anticipa – ha voluto scegliere questo testo, questo autore, questo tipo di teatro sia perché ultimamente è abbastanza dimenticato sulle nostre scene, sia perché per gli allievi è una grande prova di teatralità». Feydeau, si diceva, scrive macchine teatrali perfette e interpretarlo vuol dire confrontarsi con ritmi indiavolati, in cui bisogna sempre rispondere a tempo, con continue sorprese e cambi di passo che necessitano di interpreti dalle “antenne” ben ricettive. Continua Capezzani: «È un testo difficile, con ruoli scritti per attori di età più matura dei ragazzi». Ma la novità, il colpo di scerna registico e drammaturgico, è stato il taglio del terzo atto: non c’è fittizia soluzione nell’allestimento di Cecchi. I nodi rimangono aggrovigliati nei loro intrichi, non c’è ricongiungimento delle coppie. Insomma, aggiungiamo noi, esplosioni e implosioni del desiderio non vengono arginate, non si arriva all’ipocrita pacificazione, allo scioglimento delle complessità del desiderio. Nessuna ricomposizione è possibile. Trionfa, alla fin fine, la cifra del mondo di Feydeau (e pure del nostro): l’apparenza.

Ci guida ancora Capezzani: «Scenografia e costumi sono fedeli all’epoca in cui è stata scritta la pièce. Tra i semplici elementi di scena campeggia la porta di accesso agli ambienti, la soglia attraverso la quale fanno il loro ingresso e le loro uscite i personaggi, generando, con i continui equivoci, situazioni altamente comiche. Per il resto c’è un grande tappeto. I costumi, realizzati da Maria Sabato, sono fine Ottocento».

E gli attori? «Per i ragazzi – continua il nostro Virgilio – è stata una prova emozionante lavorare con un grande maestro come Cecchi». L’incredulità e il timore iniziale hanno prodotto uno impegno concentrato che, unito a una produttiva fatica, ha permesso di arrivare alla fine. Il risultato lo giudicheranno gli spettatori.

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