Ayelen Parolin: danzare è un caos gioioso

Antonio Mancinelli

Argentina di nascita, belga di adozione, italiana nel dna (i suoi bisnonni erano emigrati veneti), la coreografa e ballerina Ayelen Parolin attraversa qualsiasi definizione convenzionale con la forza e l’incoscienza di chi vuole “unire i puntini” tra discipline diverse: la danza, certo, ma anche la psicoanalisi, la poesia, la musica, la drammaturgia e la scienza. Per WEG (in olandese significa “percorso”), in scena a Spoleto, ha incontrato il fisico Pierre C. Dauby dell’Università di Liegi, «che mi ha guidato e accompagnato nell’approccio alla teoria del caos e alle evoluzioni dei fenomeni delle strutture: sono affascinata da legami invisibili in natura, da come tutto è interconnesso». Anche la lettura del libro Sapiens di Yuval Noah Harari, che lei ha dato da leggere a tutti i nove componenti del balletto, ha contribuito – insieme alle sue personali esperienze con sciamani di tutto il mondo – a costruire una serie di movimenti che all’inizio spiazzano, disorientano lo spettatore «come un caos che monta in una incomprensibile, collettiva ma individuale ricerca di un linguaggio corporeo che però, quasi per magia, alla fine ricongiunge tutti nel lusso dell’esistenza, la forma più instabile di equilibrio emotivo, se ci si pensa». Una polifonia vorticosa e caleidoscopica, sostenuta dalla sua amica e complice di sempre, la pianista Lea Petra, che è destinata a essere una svolta nella carriera dell’artista.

WEG © Diana Lothert

Ha citato una frase di Friedrich Nietzsche tratta da Umano, troppo umano: “Come può nascere qualcosa dal suo contrario, per esempio il razionale dall’irrazionale, il sensibile dal morto, la logica dall’illogicità, la contemplazione disinteressata della volontà animata dalla cupidigia, il fatto di vivere per gli altri l’egoismo, la verità da errori?”. Suppongo attraverso un “weg”, un percorso. Che arriva da dove e arriva a dove?

Le dirò: non ero tanto interessata a conoscere il punto d’arrivo e quello di partenza, ma a rappresentare quello che accade nel mentre: per esempio, prima di tutto ho chiesto a ogni ballerino di pensare a quale musica, nella sua infanzia fosse più legato o più l’avesse condizionato, e su questo abbiamo poi costruito sopra un’evoluzione che appartiene a me come a ognuno di loro.

 

 

Se il caos è l’umano elemento originale, lo si deve proprio mettere in ordine?

Ma no! Mi interessava comporre un collage non lineare, frammentario e aperto per ogni successione del movimento dei ballerini, tant’è vero che quando cantavano quelle canzoni – che dovevano provenire da stili ed epoche diverse, per evitare qualsiasi somiglianza -generavano minisequenze di passi e gesti. L’interazione con gli altri mantenendo il proprio ritmo interiore e la connessione con gli altri. Questo ha creato una strana situazione: da un lato c’è molto rigore nel risultato finale, tutto è calcolato, deciso, misurato. Dall’altro c’è un inevitabile arrendersi all’imprecisione, che però è stata anche quella considerata parte integrante di WEG.

I costumi carnevaleschi, le luci colorate, i volti sorridenti… Traspare una certa forma di gioia, di divertimento. Questa intenzione era presente fin dall’inizio?

Sì, mi stava a cuore. È stato anche un ritorno a un altro modo di fare, più vicino ai miei primi pezzi, che erano più disinibiti. Volevo prendere questa direzione, quasi come un manifesto, un modo per prendere posizione. E dire ad alta voce che avevo bisogno di assurdità, fantasia e libertà specialmente in un periodo come questo.

 

 

Una posizione anche politica o solo artistica?

In senso lato, anche politica. È un inno alla libertà d’espressione, alla ribellione contro l’uniformità, alla protesta contro le convenzioni. Ma tutto espresso con molta leggerezza, senza avere la pretesa di lanciare messaggi solenni o definitivi. Noi siamo professionisti, e tra le missioni della danza c’è anche quella di risvegliare gli animi. In questo caso, volevamo puntare l’attenzione su ciò che dà piacere e sulla peculiarità del motore emotivo che regala allegria, benessere a ognuno di noi. Si tratta di empatia, una condizione che si può sviluppare solo quando si può vivere sereni.

 

 

In che stato d’animo vorrebbe che il pubblico uscisse dalla sala dopo WEG?

Allegro.